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ArribaAbajoBaroja e l'Italia

Monica DI CONSTANZO



Università di Macerata

Questo lavoro ha avuto inizio nell'estate del 1994 in occasione della mia visita a Itzea, la famosa dimora dei Baroja situata a Vera de Bidasoa, Navarra. Essi furono così gentili da permettermi di andarli a trovare offrendomi in tal modo la desiderata possibilità di conoscerli.

Fui accolta da Pío Caro Baroja, nipote di don Pío, e da suo figlio Pío. Durante la mia visita ho potuto anche conoscere il famoso antropologo ed etnologo Julio Caro Baroja, che nonostante la sua malattia volle essere presente all'incontro. Confidai a Pío Caro di voler fare una tesi basata sullo studio comparato delle opere di Pío Baroja e Julio Caro e scoprire le influenze del primo sul secondo.

Pío Caro però mi sconsigliò d'intraprendere un lavoro così vasto consigliandomi allo stesso tempo di basare la mia tesi su Pío Baroja e l'Italia in quanto era un campo dell'opera barojiana non ancora esplorato.

In effetti molti degli studiosi di don Pío non si sono occupati di questo argomento e nella maggior parte delle sue biografie vengono menzionati solo i sui viaggi a Londra, Parigi, etc..., ma nessuna traccia dell'Italia.

Però perché studiare la relazione esistita fra l'autore basco ed il mio paese se per la maggior parte dei critici sembra non esistere?

Innanzi tutto Baroja scrisse alcuni racconti ambientati in Italia che rispecchiano le esperienze dei suoi soggiorni qui, poi non bisogna dimenticare che il secondo cognome di Pío Baroja è Nessi. Ebbene sì, nelle vene di don Pío scorre sangue italiano. L'antenato italiano della famiglia era il nonno paterno della madre dello scrittore basco, in poche parole era il bisnonno materno che proveniva da Como, Lombardia.

Come ei dice lo stesso Baroja nel suo sangue scorrevano sette ottavi di basco e uno di lombardo. Nel suo racconto Familia, infancia y juventud dedica un paragrafo al suo secondo cognome spiegandoci la sua provenienza e la sua storia in Spagna.

Baroja quindi crebbe in mezzo ad oggetti che gli ricordavano le origini di quell'ottavo che scorreva nelle sue vene come vecchie fotografie e quadri raffiguranti Como, città del suo trisavolo.

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I racconti che potremmo definire italiani, se così ci è concesso chiamarli, sono: César o nada, La sensualidad pervertida, El mundo es ansí nella successione non cronologica predisposta dallo stesso Baroja nella trilogia intitolata «Las ciudades», ed inoltre El laberinto de las sirenas, Ciudades de Italia.

Non dobbiamo dimenticare però che l'Italia appare anche in altri racconti che sono: Final del siglo XIX y principios del XX; Nuevo tablado de Arlequín e più precisamente nel paragrafo dal titolo Discusiones de Roma; Rapsodias, nel paragrafo dal titolo La lucha de razas, e Juventud, egolatría nei quali si fanno brevi riferimenti a Mussolini; Los contrastes de la vida, con un escursus a Napoli e più precisamente nel paragrafo dal titolo La aventura de Missolonghi; non vanno esclusi personaggi italiani come la famiglia Chiaromonte, che troviamo in un paragrafo dell'ultimo racconto sopra citato, costituita da padre siciliano e madre proveniente da Malta. Don Pío fa numerose citazioni in italiano che troviamo spesso nella maggior parte delle sue opere come ad esempio: dilettante, jettatura (scrittura dell'italiano antico), razzia, amore, ecc...

Quindi dopo tutte queste premesse mi sembrava che il lavoro promettesse bene finché non incontrai la seguente citazione239:

No comprendo, porque fuí a Italia. No tenía para emprender esos pequeños viajes ninguna curiosidad especial [...]. Habría sido más lógico, dados mis gustos, el ir a Alemania o a Estados Unidos, pero para eso no tenía medio.



Come si vede, Pío Baroja era attratto dalla cultura americana e da quella tedesca che egli tanto ammirava, però i guadagni che ricavava dalle vendite dei suoi libri non gli permettevano di realizzare i suoi desideri, così lo scrittore basco decise di visitare un paese che gli fosse più vicino sia culturalmente sia finanziariamente come l'Italia.

E' inutile dire che la citazione riportata qui sopra, in cui scopriamo una notevole indifferenza verso mio paese mi scoraggiò moltissimo perché sembrava che l'autore non avesse nessun interesse nel visitarlo. Senonché addentrandomi nella lettura delle sue opere compresi che mi ero sbagliata. In effetti è facile farsi delle idee errate se ci si accontenta di una lettura superficiale, come sembrano aver fatto molti critici che lo accusano ingiustamente di non saper scrivere e di essere un fascista.

Ebbene sì, Baroja sembra essere uno degli scrittori più incompresi della letteratura spagnola. Le critiche piombano da diverse parti d'Europa ma il critico che è riuscito ad attirare di più la mia attenzione è un mio connazionale, nonché corregionale, Gualtiero Cangiotti che scrisse un libro dal titolo: Pío Baroja «osservatore» del costume italiano.

In questo testo l'autore accusa Baroja di essere antidemocratico e di avere uno spirito, stando alle sue parole, basco-germanico; questa sua ultima affermazione vorrebbe significare che Baroja è un razzista?

Cangiotti non si ferma qui ma dichiara anche che240:

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L'antipatia per il popolo italiano [...] costituisce l'attitudine spirituale decisiva di un uomo e di uno scrittore, profondamente ammalato del mito di razza germanica.



Appare evidente che Cangiotti con affermazioni così categoriche sia assolutamente convinto di quel che dice, ma direi che si debba tenere presente quello che lo stesso Baroja dice in contrasto con il giudizio suddetto241: «Yo no iba a ser patrocinador ni defensor de ninguna teoría política».

Per quanto riguarda il mito di razza germanica è lo stesso don Pío che ci informa che la razza basca è più antica di quella germanica, e poi ci dice che egli non può essere assolutamente ammalato di tale mito in quanto la sua non è una razza che parla una lingua germanica.

Invece, nonostante Baroja ribadisca più di una volta che l'unico scopo delle sue opere è quello di intrattenere il lettore, Cangiotti afferma il contrario in ogni pagina del suo saggio. E ci sono altre gravi accuse che il critico urbinate muove contro lo scrittore basco, come ad esempio242:

L'arma dell'ironia si fa sempre nelle sue mani strumento di critica violenta. [...] in questi romanzi matura e si esprime il giudizio nei confronti dell'Italia e degli italiani, [...] Un giudizio, questo non obiettivo: e nell'assenza dell'obiettività pesa quel suo sentirsi orgogliosamente basco [...] per cui cade la considerazione sul nostro paese, come un paese spiritualmente arretrato culturalmente depresso, dove gli animi sono avviliti e sopraffatti dal materialismo. La realtà italiana lo tedia e lo delude continuamente.



Leggendo questo passo mi viene in mente un'affermazione che si trova nell'opera Barojiana che dice- Si el español no fuera tan profesionalmente español...; che io volgerei all'italiano:- «Se l'italiano non fosse così professionalmente italiano...» si avrebbe quasi certamente una lettura dell'opera diversa.

Bisogna infatti considerare una componente fondamentale nell'opera di Pío Baroja: il suo spirito basco -e questo Cangiotti lo fa-, costituito da una forte ironia e dialettica, componente tipica della popolazione basca. Quello che può disturbare i critici di Baroja, è quella ironia pungente e quel continuo mettere in discussione ogni cosa. Però queste sono caratteristiche che permettono all'autore di raggiungere una determinata obiettività nel vedere e giudicare ciò che lo circonda. Si tratta di quell'obiettività che Cangiotti sosteneva non essere presente nel nostro Autore. Leggendo le opere di Baroja collegate all'Italia, il critico si è sentito offeso perdendo di vista proprio quell'obiettività che tanto invocava per lo scrittore basco.

Don Pío grazie a quelle caratteristiche, ironia e spirito critico, riesce a vedere e a giudicare indipendentemente dal suoi gusti, dalle sue idee; constata ciò che vede in maniera   —102→   distaccata, lasciando fuori se stesso. Quindi dopo aver letto un racconto di Baroja non dobbiamo metterci sulle difensive, racchiudendoci nel nostro nazionalismo, ma cercare di capire ed analizzare. Solo in questo modo si potrà veramente apprezzare i contenuti e cogliere quell'ironia che per molti è incomprensibile.

Baroja è stato accusato anche di non saper scrivere, di non conoscere la grammatica. In realtà lo stile barojiano rappresentava un nuovo stile che si stava diffondendo al tempo: quello realista243:

Baroja ha sido acusado de escribir mal. Ello se debe a que en uno de sus deliciosos momentos de humor decidió enviar a paseo la gramática. Y [...] debemos reconocer que nos encontramos ante un admirable prosista.



Il linguaggio barojiano è un linguaggio che si utilizza ogni giorno, è lo stesso linguaggio che ascoltiamo quando camminiamo per strada. Pío Baroja fa parlare i suoi personaggi con il linguaggio corrispondente alle loro classi sociali, perché il nostro Autore è un osservatore della realtà che lo circonda. Questa sua caratteristica fa sì che non si creino barriere d'incomprensione fra l'autore ed il lettore che ad un certo punto dell'opera si trovano uniti nel cammino dell'avventura. Ciò si deve anche al fatto che don Pío scriveva i suoi romanzi senza preparare prima un piano. Quindi lo scrittore ed il lettore avanzano insieme perché entrambi sono all'oscuro dello svolgimento degli eventi che verranno.

Dopo aver analizzato singolarmente le accuse mosse dalla critica contro Baroja si può tentare una rilettura dell'opera barojiana libera da ogni fraintendimento.

Infatti solo con quest'ottica si estraggono dai racconti barojiani elementi del tutto differenti da quelli che in essi ha ravvisato Cangiotti. Non dobbiamo fermarci solo ad analizzare le critiche che Baroja muove contro ciò che lo circonda, perché la critica è una caratteristica nella sua numerosa produzione e del suo essere basco. L'autore possedeva un forte spirito critico ed ironico, come abbiamo già detto, ma dietro questo suo aspetto scopriamo un uomo curioso, che vuole conoscere, scoprire, svelare ciò che lo circonda e proprio questa sua curiosità l'ha portato in Italia più di un volta per studiare meglio il nostro paese e i suoi abitanti con la loro storia e geografia, con il loro bagaglio culturale: sicuramente non lo avrebbe fatto se avesse disprezzato realmente gli italiani.

Il primo viaggio Baroja lo fece nel 1907, il secondo nel 1908 ed il terzo intorno agli anni '20. A dire il vero di questo terzo viaggio non ci sono tracce in nessuna delle biografie dedicate a Baroja che ho consultato. E' lo stesso don Pío che ce ne parla nel prologo di Ciudades de Italia.

Lo scrittore basco venne in Italia prima di tutto per trovare del materiale per scrivere dei racconti e poi per244:

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Visitar ciudades italianas que han tenido algunas relaciones con España y que por lo mismo ofrecen alguna comunidad con ella; Roma, Milán, Nápoles, Bolonia y Florencia. Las ciudades del mar Adriático ya pertenecen a otro mundo más oriental.



In effetti questi viaggi sono serviti a Baroja per osservare da vicino la società italiana e la sua cultura creando in questo modo nei suoi racconti delle scene tipiche e dei personaggi che rappresentano dei prototipi.

Baroja visitò: Roma, Firenze, Milano, Bologna, Pisa, Napoli, Genova e anche una parte della Calabria.

L'autore ci confessa che le città visitate non lo stupirono perché se le immaginava così come erano. Gli sarebbe piaciuto visitare Como, città del suo bisnonno materno, per vedere il luogo delle sue origini italiane ma non ebbe mai tempo per farlo. Un'altra delle ragioni che avevano spinto Don Pío a venire in Italia era il fascino esercitato su di lui dai pittori fiorentini del rinascimento245: Mantegna, Botticelli, Perugino, Fra Filippo Lippi...: «Sin duda quedó sembrado en mí el deseo de visitar Florencia para ver si allí me seguían entusiasmando sus pintores».

Era pertanto la pittura ciò che lo attraeva di più dell'Italia perché ci informa più di una volta che non conosceva la letteratura italiana ed aveva sempre avuto avversione al turismo246: «Yo no tengo aficiones al turismo, principalmente por una razón un poco poética. A mí me gusta que las impresiones de un país me queden en la memoria».

Però Baroja venne in Italia, oltre che per ammirare la pittura, per cercare del materiale per le sue novelas. Quindi venne come studioso del costume italiano, alla ricerca di paesaggi nuovi, di nuove storie da poter scrivere.

Quest'aspetto dell'opera barojiana per molti critici non ha alcuna importanza. Durante la mia ricerca bibliografica ho trovato solo due critici che parlavano dell'Italia a proposito di Baroja, però uno, Luis Granjel, parlava in modo molto sommario dei viaggi di don Pío e l'altro, José Maria Gironella, era autore di un articolo dedicato all'opera Ciudades de Italia in cui criticava il racconto in questione. Quindi tutti, o quasi, sembrano dimenticare che da ogni viaggio italiano è nata una o più novelas.

Il riflesso letterario del primo viaggio di don Pío lo troviamo nel racconto dal titolo El mundo es ansí che fu pubblicato nel 1912.

Si narra la storia di un ragazza russa, Sacha, che, dopo aver partecipato ai moti clandestini che fomentarono al rivoluzione del 1905, va a concludere i suoi studi di Medicina a Ginevra. Qui frequenta un gruppo di rifugiati politici russi. Dopo essere stata sposata con un ragazzo svizzero, divorzia per incompatibilità caratteriali ed ideologiche. Per riprendersi dal dolore va con sua figlia in Italia. A Firenze conosce un uomo di nazionalità spagnola che diventerà il suo secondo marito. Sacha, in occasione del suo matrimonio, conosce José Ignacio, amico e testimone dello sposo. Fra Sacha e José Ignacio si'instaura un rapporto di amicizia che si maturerà in un amore che non avrà mai l'occasione di realizzarsi. Anche questo secondo matrimonio naufraga e la protagonista lascia la Spagna di nascosto e ritorna in Russia. Solo poco tempo dopo riceve una lettera   —104→   dall'uomo che era innamorato di lei, José Ignacio, che faceva il corrispondente da Tangeri per un giornale ed è allora che Sacha comprende di aver gettato via anche l'amore dell'unico uomo che l'avesse mai amata.

Come si può capire, l'uomo innamorato di lei era lo stesso Pío Baroja che fu corrispondente da Tangeri per il giornale «Globo» e stando a quanto dice Pío Caro Baroja nel suo libro, Guía de Pío Baroja: el mundo barojiano, anche l'amore per la dama russa corrisponde ad una dato biografico dell'autore. Per quanto riguarda la dama russa leggiamo in «Índice de artes y letras»247:

Déjenle ustedes dormir y soñar con chimeneas y con los ojos azules de una mujer rusa que pasó por su vida como un delicioso fantasma.



Un'altra informazione biografica dell'autore ci viene data da Pío Caro nel libro di cui abbiamo parlato sopra: lo scrittore basco fece veramente da testimone al matrimonio del suo amico Paul Schimitz che si svolse a Biarritz.

Il secondo viaggio di don Pío lo ritroviamo nella sua novela dal titolo César o nada che fu pubblicata nel 1910.

Questa volta Baroja dichiara248: «Un año después de ese mi primer viaje a Italia, se me ocurrió ir a Roma, llevado por la idea de escribir una novela de un tipo paralelo al de César Borja, en pequeño».

Però l'autore abbandonò ben presto questo progetto per le difficoltà di realizzazione che esso richiedeva anche perché si accorse che non lo interessava scrivere un racconto storico che per di più poteva risultare noioso.

Comunque, lo scrittore basco creò un personaggio con le caratteristiche morali e psicologiche che erano proprie del Valentino, personaggio tipicamente machiavellico il cui nome era quello di César Moncada, al quale si presentò la fortuna di realizzare i suoi sogni. Come ci dice il Machiavelli nel suo trattato il Principe la fortuna crea l'occasione però solo grazie alle virtù' dell'uomo si possono realizzare i propri progetti e per far ciò si può usare qualunque arma ed astuzia perché il fine giustifica i mezzi.

In effetti il testo filosofico-politico machiavellico è un'esortazione ad agire in un certo modo per raggiungere le mete prefissate. Bisogna tener presente però che il famoso motto suddetto è rivolto alla realizzazione del bene dello Stato e non alla realizzazione dei desideri egoistici del Principe. Il Principe è un tentativo di razionalizzare il mondo oggettivo, cercando di eliminare o almeno ridurre così gli imprevisti che provengono da quell'oscuro mondo governato dalla fortuna. Machiavelli ci spiega che un principato può essere conquistato tramote fortuna propria o tramite quella altrui. Il Valentino diviene potente grazie alla fortuna del padre. Caduta questa cadde anche quella di Cesare Borgia. Per evitare che la rovina sopraggiunga non si deve cedere a nessuna tentazione   —105→   o debolezza, le stesse che portarono alla caduta del Valentino. Questo è ciò che accadde anche al protagonista di César o nada.

Il racconto narra la storia di César Moncada che voleva ad ogni costo diventare un uomo politico importante. Durante un viaggio a Roma conosce colui che gli dà la possibilità di realizzare i suoi progetti. Infatti grazie a questi diviene un personaggio politico nella cittadina di Castro Duro, in Spagna, e acquistata una certa potenza si mette contro il suo benefattore. Alla fine, scampato ad un attentato alla sua vita ed avendo perso le elezioni, si ritirerà a vita privata.

Troviamo Roma anche in un altro racconto dello scrittore basco dal titolo Nuevo tablado de Arlequín e più precisamente nel paragrafo «Discusiones de Roma».

Sono solo poche pagine che parlano prima della potenza di Roma e poi di un dialogo che l'autore ebbe con un turista francese sempre a Roma sulla città in questione.

Anche La sensualidad pervertida dedica un piccolo paragrafo a Roma: il protagonista riceve l'invito da un suo amico, in vacanza con la moglie a Roma e lo raggiunge.

La storia parla di Luis Murguía che, rimasto orfano, passa la sua infanzia in casa della nonna materna d'estate e della zia paterna durante il periodo scolastico. Dopo aver lavorato a Bilbao si recherà spesso a Parigi come antiquario. Presto deciderà di vivere nella città francese dedicandosi ad un nuovo lavoro: effettuare ricerche araldiche che gli permetteranno di vivere abbastanza bene. Ritornato dal viaggio romano s'innamora, di una signora russa che in seguito partirà. Murguía rimane solo.

Questo è un libro autobiografico che riflette un periodo particolare delle sua vita in cui decise di rimanere solo. Nel prologo ci dice di non sapere esattamente quando la sua sensibilità ha avuto una svolta ma che ad un certo punto della sua vita si è reso conto di essere uno spirito solitario ed estremamente razionale.

El laberinto de las sirenas, che fu pubblicato nel 1923, è un altro racconto ambientato in Italia e più precisamente si parla di Napoli e di Roccanera, Calabria. Il terzo viaggio, se c'è stato, lo troviamo riflesso qui.

Juan Galardi, protagonista del racconto, è un marinaio basco che dopo aver navilato per lungo tempo in navi francesi s'imbarca su di una nave italiana. Un giorno a sua insaputa salva la vita ad uno dei soci propietari della nave su cui lavorava e questi per ringraziarlo lo invita a Napoli. Qui conosce la marchesa Roccanera con la quale ha una breve relazione amorosa. La marchesa per non perderlo gli offre un lavoro di amministratore dei suoi beni in Calabria. Galardi accetta. Dopo diverse incomprensioni con la gente del posto Juan va a vivere nella casa del custode della Casa del Labirinto di proprietà del marito della marchesa, Roberto. Roberto e Galardi divengono buoni amici. Il marinaio basco sposa la figlia del custode, Santa, dalla quale ha una figlia. Juan, Roberto e Santa stanno spesso insieme e a volte Odilia, cugina di Santa, si unisce a loro. Odilia e Galardi hanno una breve relazione amorosa. Odilia si suicida e Roberto muore dopo una lunga malattia. Alcuni anni dopo anche Santa muore; Galardi e sua figlia si chiudono in convento dopo aver preso i voti.

L'ultimo dei racconti che chiude il ciclo italiano è Ciudades de Italia, che fu pubblicato nel 1949, in cui troviamo tutte le esperienze dei viaggi di Baroja fatte qui in Italia. L'autore ci parla delle città visitate: Firenze, Roma, Bologna, Napoli, Milano, Genova e Pisa, in più ci dà una serie di ragguagli sulla storia, sulla geografia, sul folklore, sui personaggi della tradizione popolare come Pantalone e Arlecchino, soffermandosi anche sul Rinascimento italiano.

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Leggendo quest'opera, che nacque come una specie di guida turistica, ci accorgiamo che gli alberghi in cui alloggiava l'autore erano gli stessi in cui alloggiavano i protagonisti dei suoi racconti ed in più ritoviamo le stesse immagini e descrizioni che abbiamo già trovato nei racconti percedenti. In El mundo es ansí leggiamo249: «Toda la noche ha llovido abundantemente, el Amo corre turbio, amarillo; una bruma ligera empaña el aire».

In Ciudades de Italia troviamo250: «Toda la noche ha estado lloviendo, el río Amo está turbio, amarillo; el aire empañado por la bruma».

Questa somiglianza con Ciudades de Italia la troviamo in ogni racconto italiano come si può constatare anche dalle citazioni seguenti; in César o nada l'autore scrive251: «Era domingo. En los pueblos se veía gente con traje de día de fiesta, [...]».

In Ciudades de Italia252: «Es domingo, y en las estaciones se nota la festividad del día. Se ve gente endomingada, [...]».

Questo parallelismo di immagini è presente anche in El laberinto de las sirenas dove, a mio avviso, troviamo le più belle descrizioni paesaggistiche dedicate all'Italia. Qui scopriamo in Baroja un pittore che sa dosare sapientemente colori e sensazioni regalandoci dei quadri indimenticabili. E' in questo racconto che troviamo un vero studioso ed osservatore della societa' italiana che confermerà queste sue doti in Ciudades de Italia dove troviamo253:

Si se contempla solo en esteta es posible que la luz de la ciudad, el color del mar y de los montes basten para la efusión artística; pero si se miran las cosas y los hombres, ya saltan a la vista muchos detalles que impiden pensar que la vida allí tenga algo de paraíso.



E' proprio in questa citazione che possiamo scoprire ciò che attira lo scrittore basco in questa città del mezzogiorno italiano. Egli è attratto dalla bellezza del paesaggio e dai napoletani perché la prima gli offre l'opportunità di osservare e descrivere la natura in tutto il suo splendore mentre i secondi gli danno l'occasione di praticare quel ramo della scienza umana che tanto gli piace: l'antropologia.

A proposito della natura, Baroja ci offre descrizioni come la seguente che ci appare come un bel quadro, tutto fulgore di luce254:

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De pronto, el sol comenzó a subir en el cielo con una rapidez de sol de teatro. Su cuerpo luminoso iba apareciendo como un ojo de fuego por encima de las rocas del promontorio [...] Un momento después, un torrente de luz de oro se derramaba por el mar y lo llenaba de resplandores y de reflejos. Qué admirable escenografía.



Altrove sembra trasmetterci il profumo che impregna l'aria in una natura ideale255: «[...] el país del sol, el país ideal, donde florecen el naranjo y el limonero».

Mentre la popolazione napoletana gli offre un vasto panorama e molto materiale per le sue osservazioni antropologiche256:

El pueblo napolitano es un mundo curioso y original en donde abunda la gente con carácter. La calle es muy divertida [...] Al mismo tiempo que las bellas damas y los jóvenes peripuestos, se ven unos pordioseros fantásticos y una porción de enanos y de jorobados [...] ¡Qué galería de tipos! [...] ¡Qué perfiles! unos redondos y de cara ancha, los malditos braquicéfalos! otros, flacos, con aire de espectro, muchos con la nariz corva y el tipo de polichinela; pero todos interesantes a su modo y con una personalidad acusada y fuertes!



Queste sue descrizioni ci fanno capire che Baroja in Italia non è mai stato un turista ma uno studioso del paese e del suo popolo e più che altro è venuto, come ho detto precedentemente, per trovare del materiale per le sue novelas257: «No he estado de turista. He ido como para buscar un fondo a alguna novela».

Non dobbiamo dimenticare poi che Baroja ha un'avversione verso tutto ciò che riguarda il turismo. Infatti, invece di andare a visitare posti famosi con una guida turistica nelle mani, preferisce vagare per le strade che non conosce ed osservare la vita giornaliera del posto con i suoi pro e contro. Preferisce rimanere meravigliato nel vedere una cosa della quale non conosceva nemmeno l'esistenza. Essendo un curioso preferisce scoprire le cose da solo258:

Hermoso jardín para pasearse. Quizá sea un lugar histórico, quizá no lo sea. Me alegro mucho de no saber ni su nombre ni su historia, si es que la tiene [...] Nada tampoco sé lo que es esto; la verdad que es uno de una ignorancia terrible.



Per quanto riguarda il visitare musei e chiese, don Pío ci dice259: «Me aburre hablar de muchas cosas de fama, y he preferido siempre divagar con una persona inteligente, que no el visitar catedrales, museos y Capillas Sixtinas».

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Infatti Baroja vuole evitare quello che succede a tutti i turisti e cioè ritornare a casa con una grande contusione in testa di monumenti, chiese, musei; quello che essi sono in grado di ricordare è la stanchezza e la noia. Essi ritornano alle loro case convinti di aver visto un paese di cui in realtà non hanno visto che reperti archeologici dimenticando totalmente il cambiamento avvenuto durante il corso dei secoli. Se ne vanno senza avere la più pallida idea di come si svolga la vita quotidiana della nazione visitata perché sono talmente impegnati nel correre da un museo all'altro che non hanno il tempo di osservare ciò che accade intorno a loro. Quello che riescono a ricordare sono delle immagini sporadiche intraviste in un momento di distrazione che li portano ad esprimere conclusioni come quella ascoltata dallo scrittore basco260: «[...] Italia es un país aburrido y sucio, que no vale la pena de ir a verlo».

E' a questo punto che Baroja si domanda: «¿Qué esperaría encontrar este señor en Italia? [...] [...]¿Qué sueños se había forjado?».

Queste sono domande che ci porgiamo anche noi. Che cosa si aspetta un turista dall'ltalia? Sicuramente si aspetta che ciò che vede sia come se lo è immaginato o addirittura più bello, sempre però un bello corrispondente ai suoi canoni di bellezza.

Infatti lo scrittore basco risponde alle sue stesse domande acutamente, in un modo che denota quanto egli abbia riflettuto sulle reazioni del visitatore261: «[...] lo que se sueña es más sugestivo que lo que se ve, porque es diferente y pensado a gusto de cada uno».

A volte ci si presenta un'immagine, un paesaggio che riesce a superare ogni nostra aspettativa, ogni nostro sogno lasciandoci affascinati davanti alla visione alla quale stiamo assistendo. E' quanto accadde a Baroja davanti al paesaggio calabrese: egli ce ne dà ampie descrizioni, ma ad un certo momento, con una osservazione personale, rivela la sua emozione profonda262: «Para ella el campo y el mar de Roccanera eran los más hermosos que se podían conocer y -aggiunge lo scrittore- quizá tenía razón».

Baroja, pur con tutto il suo spirito critico, rimane affascinato dalla natura del mezzogiorno italiano portando queste immagini custodite segretamente nel suo bagaglio di viaggiatore solitario. Immagini che nessuna guida turistica avrebbe potuto offrigli. Immagini che costituiscono il suo libro di viaggi. Inamagini che formano la sua Italia.

E com'è la sua Italia? La sua Italia rappresenta la culla della pittura rinascimentale, rappresenta l'ispirazione per creare, per scrivere; l'Italia è il paese d'origine di quell'ottavo di sangue che scorre nelle sue vene.

Baroja infine scopre che l'Italia e la Spagna, con tutte le loro differenze culturali, sono unite dallo spirito latino che ha fornito loro un cammino parallelo nella storia culturale dell'uomo. Non bisogna tuttavia commettere l'errore di dire che sono due culture uguali, con le stesse caratteristiche, che vedere una città spagnola è come vederne una italiana e viceversa, perché queste sono conclusioni fatte in seguito ad una osservazione superficiale degne di un americano, come ci fa sapere l'autore.

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Don Pío confronta Napoli con le città della Spagna263:

Nuestras ciudades son todas austeras, algo secas y monótonas; Nápoles es una gran ciudad, un poco grasienta, un poco cochambrosa, un poco matrona, con una moral laxa y que ha sido siempre cosmopolita. Nápoles me ha ido produciendo curiosidad e interés, lo que atribuyo principalmente a que es un pueblo vivo, no una ciudad de museos y de piedras viejas, conservada para los pequeños snobs.



Baroja non solo ci mette in risalto la differenza fra le città della penisola iberica e la città partenopea ma ci fa una descrizione anche del napoletano cresciuto in un ambiente di forti contrasti. E' proprio questa componente che gli conferisce un qualcosa in più rispetto agli altri264: «El napolitano es hombre que ha vivido, y vive, en medio de los más extraordinarios contrastes, entre lo más bueno y lo más malo, entre lo más respetable y lo más envilecido».

Forse queste affermazioni possono sembrare negative a prima vista come sono sembrate a tutti quei critici che vedono in lui un razzista ma in realtà Baroja fa una critica oggettiva di ciò che gli si presenta davanti agli occhi. Egli vede Napoli come un microcosmo che contiene i più forti contrasti. Sono questi ultimi che fanno del napoletano il cittadino più cosmopolita del mondo e di conseguenza più tollerante verso il prossimo. Ciò che sembrava una critica si è trasformata in apprezzamento e rispetto verso il popolo napoletano ed il suo mondo. Don Pío ci parla solo degli ambienti che vede e in cui vive e questo gli permette di descrivere luoghi e situazioni in maniera oggettiva, indipendentemente dalle sue ideologie. Questo è ciò che molti critici, come Cangiotti, non hanno considerato.

I veri pensieri di Baroja sono nascosti dietro piccole affermazioni, dietro parole che sembrano di poco conto ma è proprio da lì che avvertiamo le sensazioni che gli ha suscitato l'Italia. Facendo questa lettura fra le righe sono arrivata ad una conclusione opposta a quella del Cangiotti e cioè che il nostro paese, con il suo vasto panorama paesaggistico e la grande varietà umana, ha saputo affascinare lo scrittore basco. Conclusione che si vede confermata, a mio avviso, dall'opera Ciudades de Italia, scritta ventisette anni dopo il suo ultimo viaggio italiano, solo con l'aiuto della memoria, con i ricordi che dell'Italia aveva portato con sé e che aveva gelosamente custodito nel tempo.