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Biografia e romanzo («Tirant lo Blanc»)

Giuseppe Grilli


I. U. O. di Napoli



Tra il quattrocento e il seicento è ormai luogo comune riconoscere uno spazio letterario che in gran parte coincide con quello che gradualmente si identifica con l'Impero ispanico. Prima ancora che la dinastia degli asburgo assumesse con Carlo il ruolo di simbolo e vindice di una politica e di una cultura, e sono qui tentato dal dire di una politica come cultura, il cardinale Margarit aveva già preannunziato le fondamenta dell'edificio. Una nuova concezione della penisola iberica e del suo ruolo in Europa preludono, dunque, ad una straordinaria stagione letteraria destinata a spostare il baricentro culturale, ad imporre nuove mode e soprattutto ad affermare nuovi valori. In questo quadro si inseriscono incontri e scontri di lingue e di culture. Senza escludere i contributi francesi ed occitanici, attorno ad una nuova sensibilità per le lingue classiche si afferma un dialogo tra le lingue iberiche (catalano, castigliano e portoghese) e le lingue italiche, intendendo per esse innanzi tutto il nuovo latino umanistico o proto-umanistico, il toscano della prima tradizione letteraria veramente moderna, le parlate e i dialetti che presto hanno un forte ruolo caratterizzante nelle forme del comico. Spinte contrastanti di conservazione e di innovazione si sovrappongono sia dal punto di vista delle tecniche, che da quello dei contenuti. Il nuovo fa capolino tra i residui del passato spesso proprio laddove questo appare più restio a scomparire. Sicché è assai arduo, pur riconoscendo l'insieme, individuare i tratti particolari e specifici del cambiamento, se non quando essi sono ormai definiti in una forma classica. Di lì deriva che alcune delle opere più significative ci appaiano come isolate o immotivate: ciò vale, per una esemplificazione di immediata presa, tanto per un'esperienza lirica come quella di Ausias March, come per quella di Garcilaso. Tanto che a entrambi si assegna un ruolo non solo di innovatori, ma addirittura d i forgiatori di una nuova lingua poetica che poco, se non proprio nulla, ha a che vedere con la tradizione a loro precedente. Eppure anche qui, quando si voglia definire e delimitare il sistema con elementi pertinenti ed inconfutabili, riemerge un groviglio di temi, motivi, forme che è impossibile ridurre a schema.

In questo ambiente di cultura, che naturalmente subisce mutazioni continue e che è lungi dall'essere omogeneo, nei circa due secoli che lo separano dalla affermazione dell'età delle scienze e delle tecniche, si afferma tuttavia un modello sopra di ogni altro1. È la biografia. Biografie vere, romanzate o del tutto romanzesche; biografie di artisti, di politici, di soldati; biografie di uomini pubblici e biografie minime di gente comune. Sempre il modello biografico, concreto o astratto, appare come il solo capace di esercitare un riconoscimento, mentre ogni altro vettore muta. Anzi, a ben vedere, la biografia non si configura neppure come genere. Difficilmente potrebbe, d'altronde, quando i generi medievals, pur così compositi e per certi versi anarchici, non sono più in grado di assicurare uno schema retorico comune attraverso le artes dictandi e le artes predicandi. Un diverso modo di studiare e di comunicare rende infatti non inservibili, ma non più precettive quelle formulazioni. E, in vero, siamo lontani dalle gabbie neoaristoteliche che si affermano nella loro rigidità solo alla fine del periodo.

Non è dunque un aneddoto banale quello per cui, nel disporre i propri scritti per un progetto organico di ristampe, un ispanista così significativo come Carmelo Samonà abbia inteso assegnare ad un volume dal titolo L'età di Carlo V, il posto di centro della propria esperienza di critico attratto da una letterarietà che si estende dal romanzo del quattrocento al dramma barocco, con la tappa intermedia della Celestina. D'altra parte il modello biografico, inteso come approccio alla realtà in esame, non è certo una novità: dalla vita di Cervantes di Mayans alle biografie di Croce, esso è apparso come il canone più aderente e produttivo per comprendere e valutare2.

Ho citato Cervantes.

È indubbio che tra tanti capolavori, quello che segna la cultura del Rinascimento e della Modernità di fronte alla cultura medievale, quello che individua e riassume pluralità e correlazione delle culture nell'età dell'Impero Ispanico è un romanzo, il romanzo di Cervantes. Un romanzo che è anche biografia, racconto della vita, almeno della sua parte significativa, di un personaggio assunto come storicamente documentabile, come documentati sono tanti suoi interlocutori narrativi.

Siamo dunque al nesso tra biografia e romanzo. Tuttavia sarebbe errato supporre che esso si stabilisca così tardivamente, alle soglie del seicento e al culmine di tutta una nuova esperienza di cultura. Biografia e romanzo si sono incontrati nelle culture iberiche (ma insisto: è giusto parlare di culture iberiche e del Mediterraneo) già nella grande fucina del XV secolo. Un contatto il cui contenuto non sfugge ad uno dei primi esponenti del nuovo genere biografico: Fernán Pérez de Guzmán. Questi, nel prologo alle sue Generaciones y semblanzas traccia, seguendo un ideale etico-politico già laico, un netta linea divisoria tra storie «sospechosas e inciertas» e quelle che invece «se fazen bien». Tra le prime a cadere sono quelle «más dignas de maravilla que de fe», come la estoria scritta da certo Pedro del Corral. L'esempio qui poco importa, se non per il dato curioso che uno dei codici che ci ha trasmesso l'opera di Corral vi introduce come prologo la censura che ne aveva fatto il Guzmán3.

Biografie e romanzi sono destinati ad incontrarsi sin dalle prime prove. Di fatto durante il secolo c'è un progressivo infittirsi della produzione e un suo disporsi lungo una vasta gamma di possibilità d'esecuzione. In particolare i temi della fama e dell'onore, le gesta dei cavalieri, l'itinerario e il racconto del personaggio storico confluiscono in un territorio letterario densamente popolato. Le vite o biografie cavalleresche si intrecciano con i racconti storici o pseudo-storici fino a sovrapporsi alle narrazioni d'avventure liberamente ispirate alla tradizione del romanzo medievale.

Sostenuta più che da ogni altro da Martí de Riquer, la contiguità di opere come il Jhean de Saintré, El Victorial, o il Tirant lo Blanc e le vite e le avventure cavalleresche del Passo Honroso, del capitano Boucicaut, o del cavalier Lalaing; o di Sanderbeg, Vázquez de Saavedra o altri non perviene a definire un genere formalizzato4. Ma, senza la luce riflessa della biografia potremmo cogliere il senso del romanzo cavalleresco? La polarizzazione tra un tipo di discorso, costituito dal genere, e un'opera determinata, intesa come fenomeno empirico sembrerebbe capovolgersi nella trasmutazione di una miriade di esperienze storiche concrete, che si proiettano come fuochi d'artificio sulla società quattrocentesca, nella pagina scritta, documentaria o letteraria5.

Solitamente si è stati propensi a distinguere tra documento e finzione sulla base di esponenti quali la verosimiglianza, la plausibilità, la discrezione. Riquer a cui, si è visto, tanto si deve per questa approssimazione, ha però negato recisamente, e con validi motivi, tale distinzione. Risultano infatti ben più incredibili gli eroismi veri di quelli supposti: la letteratura imita la vita e ne modera gli ardori. La frammentarietà è però più apparente che effettiva. Se dirigiamo lo sguardo all'opera singolarmente intesa, concretamente al Tirant lo Blanc, che è poi la più autentica espressione della letterarietà del periodo, noteremo nel prologo un indizio rivelatore della ricomposizione possibile dei frammenti. Ovviamente non nel senso di una reductio ad unum impensabile e del tutto aliena allo spirito dell'opera, quanto in una direzione indicativa delle modalità, suggeritrice di quell'insieme che così malamente si tiene. Il prologo del romanzo, e lo si sa da parecchi decenni, non è altro che un plagio __uno tra i tanti disseminanti nel testo__ del prologo che Enrique de Villena prepose alla sua operetta in catalano Los dotze treballs d'Hèrcules nel 1417. Il plagio è davvero senza ritegno, ma se si legge autonomamente il testo del Tirant, pur con la memoria fissa nell'opera di Villena, non possiamo non riconoscere la congruenza dello stile e dell'argomento.

Non diversamente, del resto, da ciò che accadrà nel corso della narrazione quando interi episodi e brani verranno sapientemente intercalati ed integrati in una sorta di pastiche letterario.

Ebbene l'autore del Tirant, nell'aderire al Villena, non commette l'imprudenza del copista di Corral: adatta il testo da cui copia alle nuove finalità che si propone. Gli accorgimenti sono molteplici e non è qui d'uopo ricorrere ad essi singolarmente. Uno però può servirci da indicatore e da guida. Villena aveva scritto:

«Molt noble i virtuós cavaller: Jatsia per vulgada fama fos informat de vostres virtuts, molt majorment ara he hagut coneixença d'aquelles per comunicar-me i disvetlar vostres lloables desigs, afectant saber los fets dels antics i gloriosos cavallers dels quals los poetes i historials han en ses obres comendat, perpetuant les llurs recordacions, singularment los treballs del fort Hèrcules, que per sa virtut fon entre los gentils deïficat».

la lezione del Tirant è leggermente diversa:

«Molt excel·lent, virtuós e gloriós Príncep, Rei expectant: Jatsia per vulgada fama fos informat de vostres virtuts, molt majorment ara he hagut notícia d'aquelles per vostra senyoria voler-me comunicar e disvetlar vostres virtuosíssims desigs sobre los fets dels antics virtuosos e en fama molt gloriosos cavallers dels quals los poetes a his storials han en ses obres comendat perpetuant llurs recordacions e virtuosos actes. E singularment los molt insignes actes de cavalleria d'aquell tan famós cavaller, que, com lo sol resplandeix entre los altres planetes, així resplandeix aquest en singularitat de cavalleria entre els altres cavallers del món, apellat Tirant lo Blanc».6

Come si è visto la diversità può ridursi ad un'opposizione figurale. Villena propone l'eroe deïficat, nel Tirant il personaggio, assumendo su di sé la responsabilità del racconto, è assimilato al sistema solare, ove la prima stella risplende sugli altri pianeti.

Tra romanzi storici, biografie, libri di cavalleria e altre sperimentazioni in prosa, il nostro romanzo afferma una singolarità retorica anche quando è maggiormente esposto verso la consuetudine e il genere.

Per questo, prima di procedere a qualche considerazione sull'interazione che il Tirant svolge nella dinamica letteraria, converrà riassumere i tratti che lo caratterizzano.

Tre gli elementi strutturanti: l'autore, la narrazione, lo stile.

Dell'autore del Tirant, di colui che firma il prologo del libro, non possediamo una biografia. Il rammarico non è per la penuria di notizie che abbiamo su lui, ma semmai per l'opposta ragione. Di Joanot Martorell7 sappiamo infatti che fu un cavaliere valenziano attivo nella prima metà del quattrocento. I suoi contatti con la corte di Alfonso, i viaggi __tra cui uno o più soggiorni in Inghilterra alla corte di re Enrico__, le dispute pubbliche e private, tra cui quella furentissima con il seduttore della sorella Damiata, il cavaliere di Monpalau, le lettere e i cartelli di sfida a sua firma lasciano supporre una vita degna di essere tema di una delle biografie d'epoca. Anzi tra i conoscenti di Martorell non mancarono personaggi la cui biografia è passata a divenire materia di letteratura. Se ci manca il Martorell biografato, non minor rammarico è lecito nutrire per il Martorell biografo: cognato e amico del grande March una sua biografia del poeta avrebbe sicuramente risolto non pochi degli interrogativi che l'interpretazione della poesia ausiasmarchiana pone. Tuttavia del personaggio di cui raccontare la vita e di quella di altri c'è traccia nella raccolta di lettere che ci sono pervenute8. Da esse traspare un'esistenza che si delinea nel confronto con gli interlocutori vitali più prossimi. Non si tratta di un epistolario segreto e personale, ma neppure di un esercizio letterario di pretto stampo umanistico e neociceroniano. Le lettere di Martorell hanno il taglio dell'aneddoto cui alludono e danno il senso di provvisorietà e al tempo stesso della rilevanza che il singolo caso ha avuto nella vita del protagonista. Sono dunque materiali del tutto consoni ai fini e ai modi del discorso biografico.

Il romanzo, opera letteraria grande e sostanzialmente unica scritta dal cavalier Martorell, ha intenziona diverse ed esprime una maniera della scrittura complessa e ricca. Benché i materiali del libro siano tenuti insieme dal racconto delle prodezze di un eroe, il giovane bretone Tirant9, che ottiene l'investitura direttamente dal re d'Inghilterra, fondatore dell'ordine della Giarrettiera, e che il romanzo quindi si concluda con la sua morte, non è affatto scontata l'adentificazione della struttura narrativa con la biografia del protagonista. Questi infatti entra nella storia e nel romanzo già adulto, addormentato sul suo cavallo, e si sveglia per così dire, tra le braccia di colui che era stato per parecchi capitoli il primo protagonista del libro. Disgressioni __tra cui degli autentici excursus d'erudizione, intermezzi teatrali, ed altro__, episodi intercalati, relazaoni di viaggi integrano i materiali del romanzo, la cui storia principale, che è in funzione della personalità e della vitalità del cavaliere protagonista, acquista consistenza solo quando Tirant approda a Costantinopoli e lì partecipa ad una trama di avventure di cui, malgrado ripetuti tentativi da parte della critica, è impossibile eliminare il connotato licenzioso. Ma non basta. La adentificazione del tracciato del romanzo, forse proprio perché avviene mediante l'assunzione del modello della commedia umanistica e del racconto erotico, mette in evidenza una insorgenza testuale già manifestatasi in precedenza: la relativa opacità dell'eroe protagonista rispetto al nucleo dei suoi amici e interlocutori narrativa. Detto altrimenti: Tirant è sicuramente colui che tiene i diversi episodi e assicura la continuità narrativa, ma dal punto di vista letterario senza l'ausilio degli altri personaggi co-protagonista (Felip de França, Ricomana, Diafebus, Plaerdermavida e poi via via tutti gli altri) ben presto annoiebbe con i suoi stratagemmi appresi dai libri o con il suo buon senso. Né come sportivo, né come stratega le sue abilità sono davvero eccezionali.

Ciò che fa grande Tirant, che rende il Tirant un capolavoro, sono le situazioni, non per quel che descrivono, e malgrado le descrizioni siano nel romanzo occasioni di straordinario illusionismo letterario, senza per questo sfuggire alla regola del realismo, ma per quello che lasciano intuire. Novela moderna, come ha detto Dámaso Alonso, il Tirant è tale grazie allo stile. Elementi caratterizzanti lo stile del romanzo sono l'uso spregiudicato delle fonti, numerosissime quelle individuate, e forse non meno lunga è la lista di quelle da segnalare ancora; la contaminazione dea registri, essenzialmente quello colloquiale (proverbi, frasi fasse, forme ritual), e quello curialesco (modi cancellereschi, calchi latini, retoricismo); la manipolazione linguistica: tutti i personaggi, senza distinzione di ruoli fissi, ma di situazioni, attingono ora a questo, ora a quello «stile» di lingua.

Proprio in ciò il modello della biografia viene assunto in profondità e, allo stesso tempo, superato. La accettazione non superficiale della biografia come motivazione poetica del testo infatti deriva dalla peculiare sintesi stilistica. È una vita vera, o vissuta, il punto di vista che permette la focalizzazione degli stili a seconda delle situazioni e non a seconda dei ruoli o caratteri predeterminati. In questo la teatralità del Tirant, pur così fortemente accentuata, trova un limite, che è poi il limite di genere che distingue il romanzo dalla azione in prosa nella linea che è della Celestina o de La Dorotea. Ma dalla biografia Martorell si allontana nell'assegnare poi alle voci del romanzo un'entità autonoma rispetto alla, pur sempre e vivace, elocuzione del narratore.

Le polarità della biografia e del romanzo si proiettano perciò su due piani, perfettamente oggettivati, nella trama narrativa. Da una parte vi è la storia, la narrazione cui, ironicamente, Martorell assegna il luogo della fissazione verticale. La tradizione romanzesca è riassunta e materializzata nei blocchi figurativi degli affreschi di palazzo. Immobili, i personaggi dei romanzi sono stati ingabbiati sulle pareti e solo accidentalmente __in occasione di una grande festa, ad esempio__ si staccano dai muri per materializzarsi nelle vesti dell'attore, come accade per qualche capitolo ad Artú e Morgana10.

Ma nel complesso ad essi è preclusa la vita vera, cioè la vita «complessa», che caratterizza i personaggi dell'opera. Ciò che si oppone alla «sobtíl e artificial pintura» della tradizione narrativa, che comprende Virgilio, Ovidio e il roman di Chretien, è la nuova oralità dei protagonisti martorelliani. Come ha notato Vargas Llosa, la prima impressione di ogni lettore del Tirant è attratta dal fiume torrenziale di parole che si scaricano sulla pagina11. I personaggi certamente combattono, amano, viaggiano da un continente all'altro, ma soprattutto parlano. Il discorso diretto prevale, sovente prevarica, su ogni altra situazione. Così all'inizio l'apprendimento e la formazione di Tirant, pur affidata ad un libro scritto e rilegato, un libro massiccio come una pietra, si riversa su di una lettura a voce alta, dapprima solitaria, poi dinanzi ad un pubblico attento di commilitoni12. Così nel cuore del libro una delle scene erotiche più precise in dettagli, particolari e focalizzazioni d'immagine passa a ttraverso il racconto che ne segue Plaerdemavida: la fanciulla descrive ciò che ha visto dal suo nascondiglio eccitata e desiderosa di eccitarsi, come fosse il resoconto mattutino di un sogno13. L'oralità si oppone alla plasticità così come la vitalità dell'eroe, non più solo, si oppone all'eremo di chi lo ha preceduto nella cavalleria e nel romanzo. E forse non è senza un significato profondo che la morte entri «de rondón», come ha scritto Avalle-Arce, nel romanzo proprio quando è evidente il trionfo, sociale e personale, degli amici e compagni più cari al protagonista14.

Senza averlo affermato esplicitamente, mi pare di aver già introdotto implicitamente la distinzione tra modello biografico e romanzo, ovvero tra genere ed opera.

Una distinzione questa che ricalca quella tra discorso monologistico e dialogico. Essa attiene infatti alla differenza che riscontriamo tra racconto chiuso e romanzo polifonico.

L'obiezione che potrebbe essere avanzata sulla base della incongruenza del fattore stilistico nella determinazione del carattere peculiare dialogistico del Tirant, fondata sulla sostanziale unitarietà del genus nell'opera martorelliana non mi pare adeguata. Se infatti è vero che tutto sembra rinviare alio stilus gravis, giacché l'ambito sociale è quello del miles, l'animale dominante l'equus, lo strumento dell'azione il gladius, il luogo l'urbs, o i castra, appare incontroverti bile che però l'albero e il frutto del romanzo non siano affatto i sublimi alloro e cedro, ma il mediano pomus. Anzi si tratta di pometes: sono i seni adolescenti di Carmesina da cui dipendono le sorti dell'Impero d'Oriente e, contestualmente, l'oriente del protagonista e del romanzo eponimo15.

Non senza ragione Dámaso Alonso nell'assegnare uno statuto al romanzo perviene all'identificazione: «todo un hombre». È questo uomo libero che irrompe oltre il chiuso perimetro della norma medievale riassunta nel complesso storiografico-epico-agiografico delle artes dictandi e predicandi. Non si recidono naturalmente i legami con l'organizzazione del testo dettata dai canoni della scrittura e del libro: il romanzo nasce da una variante della storiografia, al pari della biografia, come ci ha ricordato Pérez de Guzmán16. Non soltanto nella tradizione occidentale, e specificamente catalana - ove persino nella deformazione dei dati notiamo le confluenze: Martorell gonfia i propri eserciti non più di quanto lo abbia già fatto uno storico dell'onestà e precisione di un Descolt17. Anche la storiografia bizantina ha agito come canguro nei confronti del romanzo ellenistico. Non ha alcun valore di documento, ma è una divertente curiosità notare che il testo delle Etiopiche di Eliodoro, che fu tra i fattori scatenanti la nuova moda del romanzo di tutta l'Europa occidentale del cinque-seicento, fu ritrovato nel 1526 nella biblioteca di Mattia Corvino18. E Mattia non è altri se non il padre di quel János Húnyadi alla cui biografia si è sicuramente ispirato Martorell per delineare la figura militare del suo Tirant19.

La corrispondenza è decisamente fortuita, eppure esprime una costellazione che ben rappresenta fortuna del romanzo le cui sorti sono legate alla débâcle politica che la cultura catalana subiste tra cinque e seicento. Sicché non può destare meraviglia che a fronte del successo editoriale cinquecentesco della versione italiana ben più magro sia stato il bottino delle edizioni in catalano e in spagnolo, malgrado l'entusiasmo di Cervantes. Ciò spiega, in parte, perché i pruriti classificatori del neoaristotelismo abbiamo trascurato l'opera di Martorell e l'abbiano assimilata alla tradizione delle biografie e dei libri di cavalleria. E ciò spiega anche perché la critica novecentesca, attratta da analoghi desideri per le definizioni precettive, sia rimasta interdetta di fronte al Tirant. Eppure, se seguiamo le discussioni recenti su novel e romance a proposito della narrativa del siglo de oro, o se ripercorriamo con Wardropper le definizioni consegnate sui frontespizi («libro», «tratado», «retrato», «vida» con riferimento alle tematiche: pastorale, sentimentale, picaresca, ecc.) ci imbattiamo in una singolare coincidenza20. In nessun genere, né in nessun'opera di genere prima del Quijote, se non appunto nel romanzo di Joanot Martorell, si da la contaminazione di finalità e mezzi espressivi, di forme dell'espressione e di contenuto diverse. I modi dell'elocutio, nella tripartizione canonica, si proiettano nelle tre modalità dell'amore a cui cavalleria e cortesia rimandano. Lo ha ribadito Estefania nel capitolo 127 quando ha distinto i tre generi dell'amore: «com sia cosa acostumada... les donzelles estant en cort se tenen a molta glòria que sien amades e festejades» secondo le «tres maneres d'amor, ço és: virtuosa, profitosa, viciosa» 21. La conclusione, secondo la quale la millor è l'ultima, la sola che richiami alla memoria tutta una lunga notte d'inverno trascorsa nel letto profumato con il gentiluomo prescelto, è però nei fatti smentita dalla trama. L'amor profitosa trionfa con la coppia formata dalla anziana Imperatrice e dal giovane paggio Hipòlit, mentre tutto il romanzo rende un tributo all'amore sostanzialmente virtuoso che ha unito Tirant e Carmesina.

Historia (e non story) il romanzo di Martorell22 non ha perciò perso l'ispirazione iniziale che gli veniva dalla costruzione biografica. La autenticità del testo, nella sua severità stilistica, mai smentita, è stata scalfita solo per quanto attiene alla irrinunciabile vocazione romanzesca. Essa si è espressa mediante una tematicità diversificata e tuttavia orientata. Il motivo erotico e licenzioso, la storia narrata, dopo diversi approcci e tentativi, non avrebbe il peso e il significato che ha se non si inserisse nel solco del genus gravis della biografia cavalleresca.





 
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