Selecciona una palabra y presiona la tecla d para obtener su definición.
Indice


Abajo

Gómara detrattore di Colombo

Giuseppe Bellini





  —41→  

Ben diverso da quello di Pietro Martire e di Bartolomé de Las Casas fu l'atteggiamento di Francisco López de Gómara. Della sua Hispania Victrix, o Historia General de las Indias, che pubblica a Saragozza nel 1552, la parte più celebre e continuamente citata è la frase con cui il cronista, nella dedica a Carlo V, definisce la scoperta dell'America «La mayor cosa después de la creación del mundo, sacando la encarnación y muerte del que lo crió»1. Egli scriveva senza aver mai messo piede nel mondo americano, cosa che gli fu rimproverata da molti altri cronisti, specie da Garcilaso de la Vega, el Inca, per le molte inesattezze e «menzogne» di cui riempie le sue pagine. Ma il fatto che non fosse mai stato nelle Indie non voleva dire che la sua «storia» dovesse per forza essere una menzogna. Egli aveva avuto a sua disposizione ben altre fonti d'informazione, certamente di parte, ma autorevoli, come lo stesso Hernán Cortés, conquistatore del Messico, di cui era divenuto cappellano. E tuttavia certo che egli dà un'interpretazione molto personale dei fatti.

Nella Historia Gómara, anzitutto, sottolinea una logica continuità tra la Riconquista e l'impresa americana. Nella stessa dedica all'imperatore afferma che «Comenzaron las conquistas de indios acabada la de moros, por que siempre guerreasen españoles contra infieles»2, e legittima, in questo senso, come una investitura divina, la signoria di Carlo V sulle Indie e gli attribuisce anche grandi responsabilità circa il futuro delle popolazioni e delle terre americane:

«[...] otorgó la conquista y conversión el papa; tomastes por letra Plus ultra, dando a entender el señorío de Nuevo Mundo. Justo es, pues, que vuestra majestad favorezca la conquista y los conquistadores, mirando mucho por los conquistados. Y también es razón que todos ayuden y ennoblezcan las Indias, unos   —42→   con santa predicación, otros con buenos consejos, otros con provechosas granjerias, otros con loables costumbres y policía.[...]».3



Ma soprattutto, se trascuriamo le a volte sconcertanti elucubrazioni cosmogoniche e scientifiche del cronista, è interessante vedere come egli interpreti vitalisticamente il desiderio umano di conoscenza. Dio ha messo a disposizione dell'uomo il mondo con i suoi segreti, perché egli li ricerchi e li conosca: la scoperta di un mondo nuovo è certamente uno di questi segreti, finalmente svelati dall'ardimento di chi ne ha fatto la scoperta. La pagina è di grande efficacia e proietta una luce viva su tutta la Historia, quelle dei tempi nuovi dell'intelligenza:

«Es el mundo tan grande y hermoso, y tiene tanta diversidad de cosas tan diferentes unas de otras, que pone admiración a quien bien lo piensa y contempla. Pocos hombres hay, si ya no viven como brutos animales, que no se pongan alguna vez a considerar sus maravillas, porque natural es a cada uno el deseo de saber. Empero unos tienen este deseo mayor que otros, a causa de haber juntado industria y arte a la inclinación natural; y estos tales alcanzan muy mejor los secretos y causas de las cosas que naturaleza obra; aunque, a la verdad, por agudos y curiosos que son, no pueden llegar con su ingenio ni propio entendimiento a las obras maravillosas que la Sabiduría divina misteriosamente hizo y siempre hace; en lo cual se cumple lo del Eclesiástico, que dice: "Puso Dios in disputa de los hombres, con que ninguno de ellos pueda hallar las obras que el mismo obra". Y aunque esto sea así verdad, según que también lo afirma Salomón, diciendo: "Con dificultad juzgamos las cosas de la tierra y con trabajo hallamos lo que vemos y tenemos delante", no por eso es el hombre incapaz o indigno de entender al mundo y sus secretos; ca Dios crió al mundo por causa del hombre, y se lo entregó en su poder, e puso debajo los pies, y, como Esdrás dice, los que moran en la tierra pueden entender lo que hay en ella; así que, pues Dios puso el mundo en nuestra disputa y nos hizo capaces y merecedores de lo poder entender, y nos dio inclinación voluntaria y natural de saber, no perdamos nuestros privilegios y mercedes».4



Con simili aperture da intellettuale moderno, ci aspetteremmo da Gómara un inno allo scopritore dell'America. Ma il cronista immediatamente ci delude, in questa Historia formata di brevi capitoletti, che si presenta piuttosto frettolosa e direi anche superficiale, e che tuttavia tanta   —43→   fortuna ebbe, nonostante le critiche che le furono mosse fin dal suo primo apparire. Cristoforo Colombo non riscosse, è evidente, le simpatie di Gómara, forse perché straniero, mentre egli intese assolutamente ispanica la scoperta delle Indie.

Dopo aver dissertato, a suo modo, sul mondo, uno e non molti, e aver spiegato che tuttavia parlerà di Nuovo Mondo per intendere le Indie; che il detto unico mondo è rotondo e non piano; che non solamente è abitabile, ma è abitato -e qui una nuova riflessione positiva: «No se harta la curiosidad humana así como quiera, o que lo hagan los hombres por saber más, o por no estar ociosos, o porque (como dice Salomón) quieren meterse en honduras y trabajos, pudiendo vivir descansados»5-; che esistono gli antipodi e perché si chiamano così; dove stanno e chi sono questi antipodi; che contro la comune opinione dei filosofi esiste comunicazione con gli antipodi; qual'è il posto della terra; che cosa siano i gradi; chi fu l'inventore della bussola, eccetera; infine, stabilito qual'è il posto delle Indie, nel XIII capitoletto Gómara inizia a parlare della «prima scoperta» delle Indie stesse, rispolverando con tutta serietà la storia del pilota anonimo, enfatizzando il misterioso personaggio, del quale rimpiange non ci sia giunto neppure il nome, e che, secondo alcuni, era andaluso, secondo altri biscaglino, o anche portoghese. Per il cronista è, comunque, certo che il marinaio morì in casa di Cristoforo Colombo, «en cuyo poder -lo afferma con sicurezza- quedaron las escrituras de la carabela y la relación de todo aquel largo viaje, con la marca y altura de las tierras nuevamente vistas y halladas»6.

Ma chi era questo Cristoforo Colombo? Il Gómara gli dedica il capitolo XIV, e afferma che «era natural de Cugureo, o como algunos quieren de Nervi, aldea de Genova, ciudad de Italia muy nombrada»7. Riferisce poi che, secondo alcuni, discendeva dai «Pelestreles de Plasencia de Lombardia»8, che fu marinaio, che stette per molti anni in «Suria y en otras partes de levante», che poi fu «maestro de hacer cartas de navegar», e aggiunge con furbizia, «por do le nació bien»9; quindi si stabilì in Portogallo, «por tomar razón de la costa meridional de Africa y de lo   —44→   más que portugueses navegaban para mejor haver y vender sus cartas»10 e dove si sposò; o forse ciò avvenne nell'isola di Madera, «donde pienso -scrive- que vivía a la sazón que llegó allí la carabela susodicha»11, vale a dire quella del pilota anonimo.

Come si può vedere, il «clérigo» di Francisco López de Gómara non mostra simpatia per Colombo, lo presenta come un personaggio teso a far danaro delle sue conoscenze cartografiche, carpitore e sfruttatore di segreti altrui. Nello stesso capitolo, infatti, il cronista afferma che il futuro scopritore ospitò in casa sua il pilota, «el cual le dijo el viaje que le había sucedido y las nuevas tierras que había visto, para que se las asentase en una carta de marear que le compraba»12; ma nel frattempo l'uomo morì, «y dejole la relación, traza y altura de las nuevas tierras, y así tuvo Cristóbal Colón, noticia de las Indias»13.

Colombo, quindi, per Gómara, non ha merito alcuno nella scoperta delle Indie. La tesi che egli sostiene veniva a tutto vantaggio, come sappiamo, della corona spagnola e comunque rispondeva a un orgoglio nazionalista che voleva spagnolo tutto il merito della scoperta e della successiva conquista. È vero che il cronista riferisce anche, per dovere d'onestà, «porque todo lo digamos»14, come altri sostenessero che il Navigatore «fuese buen latino y cosmógrafo» e che avesse preso a cercare le terre degli antipodi in base a fondata documentazione di letture specifiche, da Marco Polo a Platone, da Aristotele a Teofrasto15. Nella sostanza, tuttavia, lo storico spagnolo non muta opinione; ammette che Colombo fosse intelligente, ma nega assolutamente che fosse dotto: «No era docto Colón -scrive-, mas era bien entendido»16. La fonte prima della scoperta è sempre, per lui, il pilota anonimo, e per confermare questa tesi si lascia andare a un ragionamento a parer suo, evidentemente, convincente:

«Paréceme que si Colón alcanzara por ciencia dónde las Indias estaban, que mucho antes, y sin venir a España, tratara con genoveses, que corren todo el mundo   —45→   por ganar algo, de ir a descubrirlas. Empero nunca pensó tal cosa hasta que topó con aquel español que por fortuna de la mar las halló».17



Nessun merito, quindi, a Colombo, ma neppure al pilota anonimo. Gómara intende, infatti, il ritrovamento delle Indie un evento prestabilito da Dio, che doveva verificarsi in ogni modo. L'uomo che avesse effettuato la scoperta era un puro strumento, e in ciò il cronista contraddice se stesso, in quanto poche pagine prima, come abbiamo indicato, aveva esaltato l'ardimento umano nella conoscenza del mondo.

Che Francisco López de Gómara avesse poca simpatia, o comunque poca stima degli italiani, lo rivela anche un altro particolare: nel capitolo XV, intrattenendosi, direi con «desparpajo», sulle difficoltà del Genovese nel reperire appoggi e fondi per la sua impresa -che sempre ricollega alle informazioni del pilota anonimo-, il cronista afferma che alle sue parole né il duca di Medina-Sidonia, né quello di Medinaceli prestarono fede, poiché «entrambos duques tuvieron aquel negocio y navegación por sueño y cosa de italiano burlador», e ciò era avvenuto anche con i re d'Inghilterra e di Portogallo. Non si comprende, allora, perché i due menzionati duchi incoraggino il futuro Scopritore a recarsi alla corte dei Re Cattolici. Forse perché più ingenui o più disponibili a burle? Scrive Gómara che essi «holgaban de semejantes avisos»18.

Cosciente o no di quel che dice, il cronista spagnolo supera se stesso. Resta ad ogni modo assodato che per lui Colombo non ha meriti, neppure nell'allestimento dell'impresa, se lo storico torna ad affermare, con adeguata sottolineatura, l'intervento economico, e il sacrificio, dei Re Cattolici, sia pure attraverso un ingente prestito di Luis de San Angel, «su escribano de ración», che gli prestò «seis cuentos de maravedís, que son, en cuenta más gruesa, diez y seis mil ducados», dato che le casse reali erano vuote19. Parzialità, questa, evidente, poiché oggi sappiamo che gran parte del costo finanziario dell'impresa colombiana fu assunto dai mercanti genovesi presenti in Andalusia, alcuni dei quali potenti a corte20.

  —46→  

Fedele all'impegno di togliere merito a Colombo, Francisco López de Gómara scrive della scoperta delle Indie, nel capitolo XVI, badando a sottolineare che il Navigatore «siguió la derrota que tenía por memoria»21, quella, appresa, cioè, dal pilota anonimo. Il desiderio di svilire la figura di Colombo porta il cronista a falsare la realtà storica: non è l'equipaggio ad avere paura, ad un certo punto, durante il primo viaggio, e a voler abbandonare l'impresa, ma lo stesso Navigatore, il quale, lasciata la Gomera, «a cabo de muchos días topó tanta yerba, que parecía prado, y que le puso gran temor, aunque no fue de peligro; y dicen que se volviera, sino por unos celajes que vio muy lejos, teniéndolos por certísima señal de haber tierra cerca de allí»22.

Vi è poi il particolare dell'avvistamento della terra americana, l'11 ottobre 1492, da parte di Rodrigo de Triana: gli sarebbe toccata una ricompensa, che né Colombo né i sovrani gli diedero mai. Di qui le conseguenze che il Gómara non manca di enfatizzare, alla fine del capitolo XVII, allorché tratta, per contrasto, delle mercedi e degli onori dei sovrani allo Scopritore al suo ritorno: «Y así el marinero de Lepe se pasó a Berbería, y allá renegó de la fe, porque ni Colón le dio albricias ni el rey merced ninguna, por haber visto él primero que otro la flota lumbre en las Indias»23.

Colombo, invece, trionfava: sulla strada da Palos, dove era sbarcato, a Barcellona, dove i Re si trovavano in quel momento, «fue muy honrado y famoso, porque salían a verle por los caminos a la fama de haber descubierto otro mundo, y traer de él grandes riquezas y hombres de nueva forma, color y traje»24. Il 3 aprile egli fa il suo ingresso a corte, «con mucho deseo y concurso de todos»25. Reca un'infinità di cose che stupiscono tutti, in particolare i pappagalli, che tutti ammirano per la novità e bellezza dei colori: «unos muy verdes, otros muy colorados, otros amarillos, con treinta pintas de diversa color; y pocos de ellos parecían a los que de otras partes se traen»26.

  —47→  

Tra tanta festa un solo punto nero, che provoca la reazione dei cattolici sovrani: «No pudieron sufrirse cuando oyeron que allá, en aquellas islas y tierras nuevas, se comían unos hombres a otros, y que todos eran idólatras»27; con il conseguente fermo proposito di intervenire: «y prometieron» si Dios les daba vida, de quitar aquella abominable inhumanidad y desarraigar la idolatría en todas las tierras de Indias que a su mando viniesen»28.

Commenta l'edificato cronista: «voto de cristianísimos reyes y que cumplieron su palabra»29. E ben sappiamo come la compirono.

E, in ogni modo, una festa generale entusiasmante. Gómara rivive efficacemente il momento. Dice di come Cristoforo Colombo fu fatto sedere davanti ai sovrani e non manca di porre in evidenza «que fue gran favor y amor; ca es antigua costumbre de nuestra España estar siempre en pie los vasallos y criados delante del rey, por acatamiento de la autoridad regia»30. Allo Scopritore sono confermati i privilegi pattuiti, gli vien dado il titolo e compito di Ammiraglio delle Indie e al fratello Bartolomeo quello di Adelantado. E poi lo scudo, con la seguente divisa: «Por Castilla y por León/ Nuevo Mundo halló Colón»; per il che assale lo storico un sospetto, «que la reina favoreció más que el rey el descubrimiento de las Indias», sospetto che viene rafforzato dal fatto che essa «no consentía pasar a ellas sino a castellanos; y si algún aragonés allá iba, era con su licencia y expreso mandamiento»31. Le Indie, infatti, erano, e rimasero, patrimonio della corona di Castiglia.

Nel capitolo di cui abbiamo trattato sembrerebbe scomparsa, di fronte al successo, l'antipatia per Cristoforo Colombo. Ma nel capitolo XX, dove Gómara parla del ritorno nelle Indie dello Scopritore, il cronista insiste sulla negatività del governo di Bartolomeo alla Española e sulla durezza delle misure prese da Colombo, al suo ritorno, contro gli spagnoli. L'intervento di frate Boyl appare giustificato, e infine l'arrivo di Juan de Aguado, «repostero» dei Re, decide della sorte dei due, inviandoli «como presos»32, si limita a dire Gómara, in Spagna. E qui è la ricchezza   —48→   dei doni, sembra voler insinuare il cronista, gran conoscitore dell'animo umano -tanto più che il suo padrone, Cortés, aveva fatto lo stesso-, che rende benigni i sovrani, oltre alle meraviglie che lo Scopritore racconta delle terre americane, della loro bellezza e fertilità. Non vi è castigo, quindi, ma solo ammonimento a che «se hubiese de allí adelante mansamente con los españoles que los iban a servir tan lejos tierras», e poi ancora «armáronle ocho naves con que tornase a descubrir más, y llevase gente, armas, vestidos y otras cosas necesarias»33.

Un avvertimento serio, comunque, quello dei Re e, sembrerebbe, pienamente condiviso da Gómara: tenesse sempre presente Colombo che era uno straniero e che aveva a che fare con spagnoli, vale a dire con i veri padroni di quanto lui aveva e avrebbe scoperto.

Nella Historia General de las Indias un brevissimo capitolo, il XXI, è dedicato al terzo viaggio colombiano, solo una mezza paginetta, dove l'unica cosa da rimarcare è l'insistenza con cui il cronista fa risalire ai sovrani l'onere finanziario delle spedizioni colombiane34. E ciò, certamente, per dar man forte alla causa regia contro i Colombo, intesa a ridurre di molto i loro privilegi e vantaggi. Alle «dolencias», guerre e vittorie degli spagnoli sugli indigeni, «por defender sus personas y pueblos»35, giusta guerra, quindi, è dedicato il capitolo XXII, ma non vi sono in esso apprezzamenti rilevanti sull'Ammiraglio. Di maggior interesse per il nostro argomento sono i tre capitoli successivi. Nel XXIII, Gómara tratta della prigionia di Cristoforo Colombo, e subito sale alla superficie la sua antipatia per lui e per il fratello, due stranieri che si permettono di trattare duramente gli spagnoli, provocando in essi una legittima reazione.

Egli afferma, infatti, che, con la vittoria sul re Guarionex e il prospero corso delle cose, del fratello e proprie, «Ensoberbióse Bartolomé Colón», e perciò «no usaba de la crianza que primero con los españoles, por lo cual se agraviaba mucho Roldan Jiménez, alcalde mayor del almirante, y no le dejaba usar de poder absoluto, como quería, contra su cargo y oficio»36. Il cronista intende, con questo, giustificare l'operato di   —49→   «uno scellerato», come lo aveva definito Pietro Martire, capo di una banda di violentatori e assassini, con le parole dell'Anghiera37 e lo fa probabilmente solo perché mosso da spirito nazionalistico. La colpa della ribellione è, di conseguenza, addossata unicamente a Bartolomeo Colombo; i due finiscono per litigare, e Gómara non esita a insinuare che «aun dicen que Bartolomé Colón le amagó o le dio»38; di qui la decisione di Roldan di «allontanarsi», è tutto, da uomo tanto dispotico e manesco, ma protestando sempre fedeltà al re. Scrive Gómara:

«Y así se apartó de él con hasta setenta compañeros, que también ellos estaban sentidos y quejosos de los Colón; empero protestaron todos que no se iban por deservir a sus reyes, sino por no sufrir a genoveses; y con tanto se fueron a Jaragua, donde residieron muchos años. Y después, cuando Cristóbal Colón lo llamó, no quiso ir, y así lo acusó de inobediente, desleal y amotinador, en las cartas que sobre ello escribió a los Reyes Católicos, diciendo que robaba a los indios, forzaba las indias, acuchillábalos vivos y hacía otros muchos males; y también que le había tomado dos carabelas como iban cargadas de España, y detenidos los hombres con engaños [...]».39



Alle accuse di Colombo ai sovrani, Roldan e i suoi controbattono con altre accuse rivolte a tutti i fratelli. Gómara le raccoglie e le elenca con fruizione e di nuovo torna a galla l'insofferenza verso i «genovesi». Affermava il rivoltoso, secondo Gómara, e si sottintende a ragione, che i Colombo

«[...] se querían alzar con la tierra; que no dejaban saber las minas ni sacar oro sino a sus criados y amigos; que maltrataban los españoles sin causa ninguna, y que administraban justicia por antojo más que por derecho, y que había el almirante callado y encubierto el descubrimiento de las perlas que halló en la isla de Cubagua, y que se lo tomaban todo y a nadie daban nada, aunque muy enfermos y valientes fuesen. [...]».40



  —50→  

Lo sdegno dei sovrani è messo in conveniente risalto: «Enojose mucho el rey de que anduviesen las cosas de Indias de tal manera, y la reina mucho más», di modo che inviarono Francisco de Bobadilla come governatore «con autoridad de castigar y enviar presos a los culpados»41. Come se assistesse a una giustizia esemplare, Gomara evoca compiaciuto che là giunto il nuovo governatore, dopo un'indagine che dovette essere più che rapida, imprigionò gli incriminati Colombo: «Echoles grillos y enviólos en sendas carabelas a España»42. I re, saputo che erano giunti a Cadice «enviaron un correo que los soltase y que viniesen a la corte»43. Non vi è nel cronista nessuna presa di coscienza della drammaticità, e dell'ingiustizia, del caso, né egli si preoccupa di prestare ai sovrani, come aveva fatto Pietro Martire, una più viva sensibilità, convinto che devono essere solo giustizieri. Essi ascoltano «piadosamente» le «disculpas» di Colombo, che Gómara si compiace di presentare «revueltas con lágrimas»44. Non vi è compassione, moto umano, nel cronista: Colombo è colpevole e lo dimostra il fatto che i re lo allontanano dal governo delle terre che ha scoperto, giusta punizione, sembra implicito, per chi, straniero, aveva creduto di potersi elevare al disopra degli spagnoli.

Il racconto dei disastri del quarto viaggio colombiano, nel capitolo XXIV, sembra voler essere conseguenza diretta del cattivo modo di agire dei Colombo, una sorta di punizione, con l'aggravante che, per la prima volta, nelle Indie, sostiene il cronista, si ha una vera e propria battaglia tra spagnoli, allorché i Colombo devono opporsi agli uomini di Porras, che vincono45.

Al ritorno in Spagna dell'Ammiraglio avviene la sua morte. Gómara non si cura neppure di precisare il giorno in cui il luttuoso avvenimento si verifica: fu «por mayo de 1506», indica sbrigativamente46. Non v'è dubbio che il Navigatore fosse ormai un sopravvissuto a se stesso e alla sua gloria, ma non scopriamo nel cronista alcuna emozione. Anzi, nel breve ritratto che egli fa del personaggio si mostra astioso e ancora sottolinea come, nella sostanza, la Spagna non gli debba nulla, perché tutto fu   —51→   compiuto a spese della corona, che adeguatamente ricompensò quello che per Gómara rimase sempre solo un «prestatore d'opera»:

«Era hombre de buena estatura y membrudo, carilenguo, bermejoso, pecoso y enojadizo, y crudo, y que sufría mucho los trabajos. Fue cuatro veces a las Indias, y volvió otras tantas; descubrió mucha costa de Tierra-Firme; conquistó y pobló buena parte de la isla Española, que comúnmente dicen Santo Domingo. Halló las Indias aunque a costa de los Reyes Católicos; gastó muchos años en buscar con qué ir allá. Aventurose a navegar en mares y tierras que no sabía, por dicho de un piloto, y si fue de su cabeza, como algunos quieren, merece mucha más loa. Como quiera que a ello se movió, hizo cosa de grandísima gloria; y tal que nunca se olvidará su nombre, ni España le dejará de dar siempre las gracias y alabanza que mereció, y los Reyes Católicos don Fernando y doña Isabel, en cuya aventura, nombre y costa hizo el descubrimiento, le dieron título y oficio de almirante perpetuo de las Indias, y la renta que convenía a tal estado y tal servicio como hecho les había y a la honra que ganó. [...]».47



Non contento, il cronista ritorna ad accusare Colombo di responsabilità gravi nella gestione del governo all'Española, spezzando ancora una lancia in favore dell'innocenza di Roldan e di coloro che con lui si erano ribellati allo straniero. Egli sembra sottolineare quasi con compiacimento le avversità del Navigatore, il particolare negativo che fu fatto due volte prigioniero e «la una con grillos», così come con trasparenti intenzioni denigratorie denuncia che «fue malquisto de sus soldados y marineros», e per questo gli si ammutinarono Roldan Jiménez, Francisco e Diego Porras. Ma, fatto ancor più grave, Colombo giunse persino ad uccidere alcuni spagnoli nella battaglia contro i fratelli Porras. E tuttavia, malgrado tutto, a Francisco López de Gómara non doveva sfuggire la grandezza dell'uomo, se alludendo alla immensa biblioteca, «doce o trece mil libros», raccolti dal figlio Fernando e in possesso, al momento, dei domenicani di San Pablo di Siviglia, afferma che «fue cosa de hijo de tal padre»48, omaggio estremo da parte di chi nella sua Historia non aveva risparmiato nulla allo Scopritore.





 
Indice