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Introduzione alla traduzione di Animal de Fondo

Rinaldo Froldi






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Del grande poeta spagnolo, Juan Ramón Jiménez, nato a Moguer, in Andalusia, il 24 dicembre 1881 e che, oggi, esule dal 1936 dalla Spagna, vive a Porto Rico, presentiamo al lettore italiano, in una ampia scelta, Animale di fondo, che è l'ultima sua opera, pubblicata in Argentina nel 1949.

Da noi benché qualcosa di lui sia stato tradotto e delle sue opere ci si sia anche occupati in sede critica (vedi la Nota bibliografica alla fine del volume), Juan Ramón Jiménez resta una figura poco conosciuta, certo assai meno nota di quello che meriterebbero il suo valore e la sua importanza.

Animale di fondo è il punto d'arrivo del lungo cammino poetico dello Jiménez; sembra quasi costituire la conclusione definitiva di una attività durata oltre cinquant'anni per la conquista di una sempre più profonda verità di poesia. Per questo, Animale di fondo non si comprende senza la produzione che lo precede: bisogna sentirlo nell'unità di tutta la poesia juanramoniana. Unità che esiste, comprensiva di sostanze diverse: unità essenziale nel divenire della sostanza.

Comunemente si divide l'opera di Juan Ramón Jiménez in due epoche diverse e si indica il punto di soluzione attorno al 1916. Divisione più apparente che effettiva, da cui troppo facilmente s'è tratta l'arbitraria   —10→   interpretazione di una doppia personalità, vitale nella sua prima attività poetica, isterilitasi nella seconda in un cerebralismo senza necessità lirica.

Innegabilmente, a una prima impressione, il secondo Jiménez può apparire assai diverso dal primo e può anche meno piacere al gusto soggettivo del lettore ma lo studio approfondito di tutta la sua produzione ci permette invece d'accordare le dissonanti apparenze. Lo studio, dall'interno, della poesia di Juan Ramón Jiménez è ciò che ancora non si è fatto e che mi pare occorra fare. Invero la storia della poesia juanramoniana non può pensarsi in relazione con l'esteriore successione dei fatti, in altre parole con la vita comunemente intesa, e neppure in relazione a varianti posizioni di pensiero e nemmeno come divenire di una forma, astrattamente concepita, ma va intesa come storia di uno spirito che attraverso la poesia muove alla piena conquista di se stesso.

Il suo moto è mistico movimento interiore, ansia d'approfondimento, di scoperta, d'assoluto.

Se la perfezione formale è verità raggiunta lo è perché l'orbita del poeta è strettamente chiusa attorno al suo essere poeta, in una divina ed immanente condizione.

Se dovessi raffigurare in un simbolo la storia della poesia di Juan Ramón Jiménez, ricorrerei a quello del successivo stringersi di quest'orbita nel cui centro sta, scoperto poco a poco ed alla fine gioiosamente trovato, il dio della poesia che è la coscienza stessa del poeta.

Cammino lento e non senza incertezza, non senza cadute anche nel momento conclusivo ma cammino costante, diritto, rivelatore di una personalità poetica eccezionale.

Juan Ramón Jiménez pubblicò i suoi due primi   —11→   libri, Almas de Violeta e Ninfeas, nel 1900. Sono due libri influiti dal modernismo allora imperante in Spagna. Certo in quel tempo il modernismo dovette essere per il poeta una seduzione necessaria. E lo fu con tutti gli elementi di pessimo gusto che caratterizzarono l'estrema decadenza del romanticismo. Ma, in questi stessi due primi libri, Jiménez rivela doti particolari che lo distinguono dalla corrente con cui dovette incontrarsi e dalla quale subito si allontanò. E se ben guardiamo in che cosa egli fu veramente modernista ci accorgiamo che lo fu nell'orientamento estetizzante del suo pensiero e della sua vita. Lo fu in quella identificazione che stabilì fra vita e poesia, secondo cui la poesia f u la sua vita e la vita qualcosa per la poesia. All'inizio della sua attività di poesia troviamo dunque Juan Ramón Jiménez in una situazione psicologica che sarà quella di tutta la sua vita. Posizione in lui decisamente sentimentale e come tale capace di commozione poetica.

In Rimas (1902) il poeta già appare con una personalità più definita: i toni lussureggianti sono abbandonati, la metrica è più semplice, scompare l'esacerbazione dei motivi romantici. Il tono dominante è un tono triste, un tono che giustificherà, più tardi, il titolo di Rimas de sombra dato alla raccolta. Tristezza di cose passate e presenti ma senza abbandono al ricordo, alla nostalgia. Direi che c'è la poetica di stati d'animo, analisi, attraverso le cose, del proprio sentimento. Il mondo del dolore chiude in se stesso il segreto della poesia: le esperienze sofferte offrono al poeta l'occasione d'affondare in sé e cantare. Egli solo può ringraziare il dolore perché gli nutre il canto.

Si scopre più chiaramente l'identificazione vita-arte che lo Jiménez perseguirà attraverso tutta la sua vita. Del resto, il dolore, le pene, le sofferenze di cui parla, che cosa possono essere se non le amarezze dei sogni   —12→   frustati di una giovane anima poetica che in tutto vorrebbe vedere poesia perché tutto sente poeticamente? Di fronte alla delusione della realtà conosciuta sta la necessità delta consegna a se stesso, l'esigenza della solitudine che è consolazione e piacere perché solo in essa si può manifestare la grandezza cosciente dell'anima. Non mancano in questo periodo anche influssi di natura culturale: il poeta studia con particolare amore i simbolisti francesi. Tuttavia questi influssi non si rivelano in una ansia d'estranei motivi poetici ma soprattutto operano a raffinare la forma. Come sempre avviene in un grande poeta, ciò che è accolto si trasforma, con personalissima originale libertà: il simbolismo cessa d'essere una maniera letteraria e giunge a costituire parte della personalità poetica dello stesso Juan Ramón Jiménez. Poco a poco si determina in lui il gusto di speciali forme poetiche che si caratterizzano in un «tono» comune ad Arias tristes (1902-05) e Jardines lejanos (1903-04) e continuato pure in Pastorales (1903-05) e Olvidanzas (1906-07). In questi libri si potrebbero distaccare parecchie composizioni di raggiunta perfezione nelle quali c'è una continua consegna del poeta ad esperienze sostanzialmente nuove: egli sa evitare il pericolo della documentazione fredda dell'esteriore, della ripetizione prosastica, del vuoto sentimentalismo nelle cose. Le cose il poeta assume come rappresentazione della sua anima in simbolizzazione sensibile e suggerente.

Nelle opere citate si determina sempre più l'isolamento di Juan Ramón Jiménez nel suo mondo particolare, nel «vivere per la poesia» e si comprende così come la sua sia una ricerca sempre più ricca. Ecco che Baladas de primavera (1907), Elejías (1908), La Soledad sonora (1908) e Poemas mágicos y dolientes (1909), rivelano toni nuovi di più intenso colore e musicalità.   —13→   Il poeta nella sua ricerca andrà a volte oltre la necessità lirica, in una eccessiva preoccupazione formale, fino all'esclamazione alla ricerca dell'effetto. Ci interessa sottolineare come si insiste qui nei motivi della solitudine, della bellezza, della poesia: la posizione dell'anima non è mutata: va anzi sempre più chiarificandosi nel senso di ricerca esclusiva di perfezione poetica.

In una delle poesie che nella «Segunda Antolojía» raccoglierà sotto il titolo di Poemas Agrestes (1910-11) dirà:


Anhelo inestinguible
ante la norma única de la espiga perfecta,
de una suprema forma, que eleve a lo imposible
el alma, oh poesía! infinita, aurea, recta!

Ma il poeta non ancora conosce la miglior via per raggiungere le sue aspirazioni. Il periodo 1909-15 è un periodo d'incertezza per il poeta, che ci offre una produzione assai varia. Incontriamo ritmi popolari ed alessandrini solenni: semplicità di forma e lusso esteriore quasi in un rinnovato gusto modernista: impressionismo e preziosismo; spontaneità sentimentale e stilizzazione di chiara origine razionale.

Laberinto e Melancolía (1910-11) accentuano il gusto della stilizzazione in senso decadente. Ora Juan Ramón si pone in una posizione d'adesione a un ideale estetico in tono minore dove la sensualità si raffina fino alla morbosità: nuovo scambio tra vita e poesia: tentativo di risolvere in unità i due termini. Tentativo che tuttavia non consideriamo raggiunto per il fatto che la posizione decadente era in fondo lontana dalla vera natura juanramoniana per poter essere vissuta in spontanea commozione poetica. In tutto ciò notiamo però una fondamentale onestà del poeta: egli è alla ricerca di se stesso: cede alla retorica (non solo   —14→   letteraria) del temo: poi riconoscendo che è in un'altra direzione la sua ragione poetica, uscendo da quella cercherà vie nuove. Penserà incontrare se stesso nel ricordo e nella nostalgia del passato, nella varia realtà della natura e della vita; penserà esprimersi nella forma sempre più raffinata degli alessandrini continuati in cadenza d'ingenuità popolare, nel ritmo serrato e classicamente composto del sonetto. Le poesie sciolte e poi raggruppate sotto differenti titoli nella Segunda Antolojía poética (Poemas impersonales, Libros de Amor, Domingos, El corazón en la mano, Bonanza, La frente pensativa, Pureza, El silencio de oro, Idilios) (1911-13) ed i Sonetos espirituales (1914-15) sono testimonianza dei tentativi di Juan Ramón e pure della sua insoddisfazione.

Ma nel 1914 esce una opera perfetta, esce quel Platero y yo che il poeta denomina elegía andalusa e che, nella prima edizione, ridotta, dedica ai bambini (l'edizione completa uscirà nel 1917).

Nella squisita prosa poetica di Platero lo Jiménez si riporta a quel «tono» dolcemente melanconico di cui parlammo, evocando la sua terra, la sua vita, i suoi sentimenti filtrati attraverso la nostalgia dell'infanzia trascorsa; l'equilibrio qui è una condizione estatica, di pura contemplazione nella memoria dove resta dominante e protagonista la sensibile anima del poeta.

Ma lasciando Platero y yo, che del resto è frutto di una particolare ispirazione affermatasi, pura, fra meno puri tentativi e ricerche (il libro reca come data d'inizio di composizione il 1907), ritorniamo alle esperienze juanramoniane che sembrano sfociare nel 1915 in una affermazione decisamente innovatrice. Alludo alla raccolta Estío. Il titolo stesso parla di una nuova stagione, l'estate, quasi un punto di raggiunta maturità, dogo un periodo di preparazione. Qui effettivamente si   —15→   chiarisce qualcosa di nuovo: ma non si pensi qualcosa completamente slegato dalla produzione precedente perché resta in definitiva uguale l'urgenza ispiratrice del poeta: quello che è avvenuto è che Juan Ramón ha fatto un passo più innanzi nella sua ricerca di perfezione: se prima la parola poteva sopportare la presenza di un aggettivo in funzione dimostrativa o di ornamento o la frase poetica poteva sopportare la presenza d'una cadenza ritmica ordinata e composta in uno schema tradizionale o la composizione poteva perdonare alla dimostrazione del tema, ora non più: l'espressione cerca di farsi pura, essenziale, cerca la verità, la verità delle cose, l'unica che sembra aver valore. E non le cose viste così dall'esterno ma le cose prese sempre come simbolo di qualcosa d'interiore, sempre affondate nella coscienza lirica dell'autore. Estío è un libro composto di brevi poesie: è evidente la concentrazione, la tendenza all'epigramma, alla copla: l'emozione lirica vuol fissarsi in tutta la sua intensità; una intensità che non può durare più di un istante per cui la poesia è necessariamente breve. Breve e semplice ma nello stesso tempo perfetta: perfetta in una nudità che non è mancanza di qualcosa ma pura essenza, senza nessuna veste sovrapposta. Osserveremo anche come ha progredito l'identificazione fra vita del poeta e sua poesia o, meglio detto, come questa ultima ha riassunto in se stessa tutti i modi di vita; la famosa «tristezza» juanramoniana lascia il posto ad un moto quasi allegro; le aspirazioni del poeta non sono espresse con l'amarezza del vano desiderio o della sconsolata nostalgia, ma palpitano con la forza di un proposito che il poeta sente potrà raggiungere:


Plenitud de hoy, es
ramita en flor de mañana:
mi alma ha de volver a hacer
el mundo como mi alma.

  —[16]→  

Ancor più si è chiarita in Juan Ramón Jiménez l'aspirazione essenziale della sua vita: il tutto-poesia, l'universo in purezza poetica. Ora egli può formulare la sua «poetica». E canterà l'intelligenza che gli darà il nome esatto, in senso lirico, delle cose.

La posizione di Juan Ramón Jiménez è senza dubbio di completo distacco dalla tradizione romantica: è un atto di ribellione. È valorizzazione di uno stato di coscienza di fronte ad uno stato d'incoscienza; è aspirazione ad un ordine supremo. Non è negazione di valori fantastici o sentimentali, è controllo d'essi, valorizzazione estrema del contenuto nella forma. Lo stesso poeta dichiara: «Perfezione della forma è quella assoluta esattezza che la faccia sparire, lasciando esistere solo il contenuto, essere lei il contenuto». Per questo la poesia deve essere nuda: non può cedere a nessun compromesso con ciò che è fuori della sua essenzialità espressiva. La poesia deve essere così anche se porta all'oscurità; però non sarà oscurità dovuta a mancanza di capacità espressiva, ma a concentrazione lirica. Il poeta non deve illustrare ciò che sente ma solo esprimerlo; quanto più essenzialmente, tanto più perfettamente. Così spesso noi non ci troviamo di fronte all'oscurità ma ad una luce che può sgomentarci perché troppo viva.

Il Diario de un poeta recién casado (1916) meglio ci definisce la posizione spirituale del poeta. Prendiamo in considerazione queste parole che il poeta pone nell'introduzione al suo libro: «Non l'ansia di colore esotico, non l'affanno di necessarie novità. Quando io viaggio ciò che viaggia è sempre la mia anima fra anime. Non un andare verso il nuovo, o un andare più lontano ma andare al più profondo. Mai più diverso, sempre più alto. La costante depurazione dello stesso». In verità nel Diario l'esteriore non ha mai importanza dominante:   —17→   lo stesso elemento autobiografico, a parte ciò che può suggerire il titolo, sparisce di fronte agli interessi dell'anima del poeta che a tutto si protende per rientrare immediatamente in se stesso. Quando Juan Ramón Jiménez darà una nuova edizione di questo libro l'intitolerà Diario de poeta y mar. Lo stesso mare, questo elemento tanto amato dell'anima di Jiménez e fonte di tante ispirazioni nel corso del suo cammino poetico sembra esistere solo perch'egli, il poeta, lo trovi e lo canti; il cielo perch'egli lo guardi e lo nomini.

Il Diario alterna le parti in versi con i frammenti in prosa ma possiamo dire che in ogni luogo si respira il soffio della poesia: l'unità lirica è raggiunta nell'apparente discontinuità attraverso molti sciolti elementi che si compongono nell'anima del lettore alla fine della lettura.

Altro passo nel cammino poetico di Juan Ramón è il vòlume Piedra y Cielo scritto fra il 1917 e il 1918. Il poeta si sente misura di tutto, capace di raggiungere la bellezza o meglio, ciò che a lui interessa della bellezza fuggitiva, la sua forma.

È scomparsa completamente l'indulgenza alla carezza dei sensi; la vibrazione lirica ricorre più all'intelligenza che al sentimento ma per questo non cessa d'essere valida e vitale. Se prima l'esteriore aveva per se stesso un certo peso per il raggiungimento di una seduzione sottile ed epidermica, di tecnica un poco impressionista, qui noi ci troviamo di fronte a lucidissime folgorazioni che abbisognano dell'aiuto della riflessione. Certo che anche qui non tutto è perfezione: c'è un evidente pericolo in questo indirizzo poetico ed è il pericolo d'eccessivo cerebralismo. A volte il verso non si alza alla poesia e certi colloqui intimi rimangono su di un mero piano logico, giochi di gusto infelice.

E veniamo al temo delle antologie juanramoniane.   —18→   In una poesia posta alla fine di Piedra y Cielo il poeta esprime la sua aspirazione al libro puro:


todo verdad presente, sin historia,

alla perfezione suprema; da questa aspirazione la giustificazione della selezione, della revisione, della limatura della sua opera. Ecco l'origine delle sue Antologie, pubblicate rispettivamente in America nel 1917 ed in Spagna nel 1922. Si è discusso molto sopra la opportunità e la validità di questo lavoro di revisione. S'è incolpato Juan Ramón Jiménez di falsità poetica in questo lavoro: s'è detto che esso significa la rovina di ciò ch'era nativamente vitale. Per noi queste Antologie non sono altro che un nuovo aspetto del processo di interiorizzazione ed essenzialità della poesia di Juan Ramón Jiménez.

Nel 1923 appaiono due nuove collezioni di versi: Poesía e Belleza. Sono antologie di numerosi libri pensati e non pubblicati: è sempre il desiderio d'assoluta purificazione che porta Juan Ramón a queste pubblicazioni scelte. Il poeta ci sembra consegnato a se stesso in una conquista che gli dà quasi allegria, benché a volte sia sofferta. Nello stesso tempo si fa più insistente la cosciente sicurezza dell'immortalità della sua opera:


Al lado de mi cuerpo muerto,
mi Obra viva.

La natura è presente al poeta ma sempre come proiezione lirica della sua anima. Le personificazioni simboliche valgono come immagini di questa proiezione fuori di istanti particolari ed oltre il semplice ricordo. Così la poesia raggiunge un assoluto valore poetico che viene dall'essersi il poeta posto in una condizione nello stesso temo temporale e intemporale, particolare ed universale. Belleza come Poesía sono espressione di   —19→   un medesimo stato lirico ché per il poeta, già lo sappiamo, i due concetti si compenetrano: essi animano composizioni di ritmo mosso, piene di un senso di diffusa allegria, d'entusiasmo incontenibile.

Se nei suoi anni giovanili Juan Ramón Jiménez era il poeta che stava soffrendo le delusioni del contatto del suo spirito egregio con la mediocrità circostante ed era triste, ora va chiudendosi poco a poco in se stesso, tollera il contatto con una piccola minoranza, vuole essere esclusivamente poeta. Crede solo in sé e nella poesia come uniche verità. Nell'isolamento riesce anche ad essere allegro: scava, scopre, scruta la sua anima per consegnarcela intera nei suoi vari atteggiamenti di fronte alle cose e a se stesso.

Dopo Belleza al poeta giunge il tormento di una perfezione ancor più depurata. Se un tempo produceva molto, ora forzatamente deve produrre poco: egli non può descrivere o descriversi, deve descifrar el mundo, cantando. La poesia si farà metafisica, che non è lo stesso che filosofica. Lo stesso poeta vuol distinguere i due concetti: il termine filosofico significa una diminuzione dell'essenza lirica, quello metafísico la sua estrema valorizzazione. In realtà il primo indica l'intervento di qualcosa di logico e discorsivo nella frase lirica, il secondo vuole indicare la purificazione di tutto ciò che può incontrarsi di istintivo e scomposto nella prima, immediata ispirazione. Così la parola dovrà essere cercata nella sua elementare virtù espressiva, il verbo usato con tutta la sua carica attiva, l'aggettivo solo come determinante esatto.

Nel 1936 il poeta va in America ed a partire da questa data l'informazione che s'offre al critico incomincia a mancare di elementi, soprattutto intorno alla vita del poeta, alle sue attività culturali, alle sue pubblicazioni sciolte in riviste e periodici. Bisogna osservare   —20→   che non tutto ciò che Juan Ramón Jiménez ha prodotto, specialmente in questi ultimi anni d'esilio, è pubblicato. Solo nel 1946, in Argentina, uscì il suo lavoro poetico degli anni 1923-36: La Estación total con las Canciones de la Nueva Luz.

Con questa opera il poeta sembra chiudere un cerchio più stretto attorno a sé. Nel corso di tutta la sua esistenza la stagione totale gli era stata annunciata dalla sua stessa poesia: era questa la messaggera che dava al poeta il senso della gloria, della raggiunta pienezza:


...........................................
Espejo de iris májico de sí
que viese lo de fuera desde fuera
y desde dentro lo de dentro;
la delicada y fuerte realidad
de la imajen completa.
Mensajera de la estación total
todo se hacía vista en ella.
(Mensajera
¡qué gloria ver para verse a sí mismo,
en sí mismo,
en uno mismo,
en una misma,
la gloria que proviene de nosotros!)
Ella era esa gloria ¡y la veía!
todo volver a ella sola,
sólo, salir toda de ella.

Ora il poeta si trova in un sitio perpetuo dove l'armonia recondita del suo esistere coincide con tutta la sua vita ed il suo esistere pure con il suo essere:


Lo infinito
está dentro. Yo soy
—[21]→
el infinito recojido.
Ella, Poesía, Amor, el centro
indudable.

Se il cerchio che il poeta s'è serrato attorno si è fatto più stretto in un estremo lirismo egocentrico, la forma s'è fatta più intensa: il canto più ricco, più ampio, compiuto. E ne ricaviamo l'immagine di un senso della vita più forte ed allegro.

La Estación total è veramente una conquista, una conquista che può sembrare definitiva.

Voces de mi copla (México, 1945) e Romances de Coral Gables (México, 1948) si muovono infatti nella medesima orbita: cano d'autocontemplazione:


Pero lo solo está aquí,
pero la fe no se cambia,
pero lo que estaba fuera,
ahora está sólo en el alma.

Ciò che muta, un'altra volta, è la forma esteriore perché in questa ultima collezione Juan Ramón Jiménez canta in forma di romance. Naturalmente un romance moderno ed originale. Ancora il poeta conferma la sua esigenza di rinnovamento e sa, allo stesso tempo, rispondere con esattezza alle superiori ragioni della poesia.

Ma ora il poeta ha raggiunto un punto che minaccia di farsi estatico: il grido di esultanza, di speranza, di certezza che sgorga quando contempla la sua vita, la sua opera e il suo essere poetico può perdersi in una monotonia senza variazioni e senza sviluppo: però il poeta non s'arresta: il cerchio già s'è fatto strettissimo, egli non lo può chiudere maggiormente e non gli resta che affondare in se stesso.

Ed è così ch'egli muove alla scoperta piena di sé: un impeto di giovanile entusiasmo accompagna la scoperta:   —22→   la gioia irrompe con musica trionfale. Alludiamo all'ultimo libro di Juan Ramón Jiménez, Animal de fondo (1949).

Il poeta, questo animal de fondo de aire immanenza assoluta e vitalmente totale, ha scoperto in sé medesimo, nel proprio fondo, la presenza di un Dio, chiuso


en lucha hermosa
de amor, lo mismo
que un fuego con su aire.

Questo Dio è il dio della poesia, il dio deseante y deseado in uno scambio continuo d'amore: il dio poeta di fronte all'io uomo o, meglio, congiunto a questo in un abbraccio insaziabile; il diamante lúcido dentro el cuerpo negro.

Sempre il dio stette nell'anima del poeta anche se solo ora egli l'ha scoperto. Egli significava il centro di tutto e gli dava la trasparenza delle cose, gli conseguiva il bello, la perfetta espressione. Ora che il poeta è giunto alla sua piena coscienza, ora che si trova nella stagione totale, in un sol punto


sin más. tiempo ni espacio,
que él de mi pecho....

ora può volgersi al passato e vederlo sotto una nuova luce e così riconoscersi sempre uguale, nella sua divina ansia verso la bellezza poetica sin dai giorni dell'infanzia nella sua Moguer di Spagna, tanto lontana nello spazio ma tanto vicina al cuore.

L'uomo quasi dio ed il bimbo-dio, sono termini che possono identificarsi nell'unico di poeta-dio, che tutto accoglie in pienezza e tutto fa sparire dinnanzi alla sua esistenza perché tutto accoglie in sé:


conciencia en pleamar y pleaciel
en pleadios, en éxtasis obrante universal.

  —[23]→  

Ci troviamo di fronte ad un vero canto religioso, di una religione del tutto immanente. L'impeto lirico a volle ci ricorda l'ansia di S. Juan de la Cruz (la stessa formula poetica dios deseante y deseado ci evoca il grande lirico).

In sostanza, se bene osserviamo, Juan Ramón Jiménez aveva concepito in senso religioso durante tutta la sua vita la sua opera poetica. L'aveva fatta superiore ragione di tutto. Ma se in un primo tempo la sua religiosità era consistita in una specie di panismo sensitivo e poi in una sublimazione dell'intellettivo, ora si rivela come un fenomeno profondo di coscienza, forse una religiosità del subcosciente completamente riconosciuto dal soggetto.

Juan Ramón Jiménez è un panico di se stesso, del suo essere poeta; il suo è un narcisismo orfico.

In Animal de fondo è portato all'estremo il processo, caratteristico dell'arte juanramoniana, di trasfigurazione dei dati oggettivi ed occasionali. Ad esempio per Animal de fondo l'occasione è data da un viaggio del poeta compiuto dagli Stati Uniti in America del Sud nel periodo luglio-ottobre 1948 e motivi oggettivi suggeriti dall'occasione di questo viaggio appaiono numerosi nel libro: quasi ogni lirica ne rivela chiaramente qualcuno (il mare, la nave, la Croce del sud ecc.). Nessuno però vale per se stesso e tutti restano esclusivamente degli spunti dai quali il poeta muove per innalzare il suo canto, il suo pieno inno di creatore celebrante la trovata sua essenza. L'interesse vero è perciò, costantemente, per l'interiore.

Animal de fondo è forse la più unitaria delle opere di Juan Ramón Jiménez. Sono ventinove liriche, complementari luna all'altra, tanto che è difficile intenderle separatamente mentre la lettura d'ognuna giova alla comprensione delle altre.

  —24→  

Nella scioltezza del ritmo uno stesso motivo ispiratore è variato all'infinito, senza preoccupato rispetto di uno schema, di una regola.

La struttura metrica è un libero accostamento di versi imparisillabi non senza, a volte, ricorrenti rime o cadenze. Ciò che maggiormente colpisce è la variata fluidità della frase lirica che solo raramente incespica in un più duro giro logico.

Abbiamo curato una ampia scelta di Animal de fondo: si tratta di diciotto liriche che presentiamo con una traduzione che vuole più che altro aiutare alla lettura del testo originale. Nelle versioni abbiamo usato una libera versificazione (che lo stesso originale suggeriva) sulla base di versi imparisillabi variamente accostati e congiunti, preoccupati, naturalmente, di rendere il libero fluire della frase lirica juanramoniana e non tanto il ritmo in astratto, verso per verso.

Opera di variata unità è questa di Juan Ramón Jiménez, che ci permette di chiarire tutta la personalità del poeta ed affermare la essenziale unità della sua produzione.

In cinquant'anni d'esercizio poetico, in forme diverse, Juan Ramón Jiménez ha sempre cantato se stesso, in un lirismo d'estrema purezza, facendosi più acuta la nota del suo canto quanto più si stringeva il colloquio fra lui, il poeta, e la sua anima, scrutata fin nel profondo.

In Animal de fondo l'ansia di continua ricerca sembra appagata: c'è una condizone di rassegnata gioia nel limite destinato, nel raggiunto riconoscimento del dio cosciente della poesia, nella realtà di una esistenza consapevolmente vissuta per la poesia. Per questo se Animal de fondo ha i suoi momenti migliori nell'entusiasmo lirico della prima scoperta, ha pure i suoi momenti di troppo compiaciuto e quieto indugio e si   —25→   presenta con dei limiti ad un ulteriore sviluppo lirico.

È forse legittimo pensare che Animal de fondo sia un punto d'arrivo definitivo e che con questa opera la fatal órbita del poeta si sia definitivamente chiusa.

Rinaldo Froldi.

Milano, 15 novembre 1952





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