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«... Andaban todos desnudos...» : alle origini dell' «incontro» tra l'Europa e l'America

Guiseppe Bellini





La scoperta dell'America, «La mayor cosa, después de la creación del mundo, sacando la encarnación y muerte del que la crió», secondo l'espressione del cronista Francisco López de Gómara1, evento il cui rilievo è ormai ozioso sottolineare, non fu un caso fortuito, ma il culmine di un processo storico, scrive il Lafuente2, realizzato nella società europea e il frutto insieme dell'appassionato impulso di Colombo.

Il fervore di viaggi alla scoperta di mondi ignoti, o poco conosciuti, che caratterizzò, anche nella Spagna, i secoli XV e XVI3 -basterebbero le Andanças é viajes di Pero Tafur a darne misura4- insieme alle istanze commerciali, soprattutto dopo la caduta di Costantinopoli in mano turca, spiega l'origine e la realizzazione dell'impresa colombiana.

Nella Castigba, poi, gravi problemi sorgevano con l'espulsione dei «marranos», proprio nell'anno della caduta di Granada. Inoltre, l'esito vittorioso della guerra di Riconquista lasciava libera una massa notevole di armati che, se l'ascendente personale della regina Isabella e il motivo religioso avevano in pratica staccato dalla consueta dipendenza dalla nobiltà, non per questo era facilmente governabile. I Re Cattolici, saggiamente, dovettero pensare di convogliare tanto pericolosi armati verso l'America, in una nuova «Crociata», alla quale l'impresa di Cristoforo Colombo apriva la via.

Con grande acutezza il Guicciardini segnalava l'abilità di Ferdinando d'Aragona nel montare imprese che, «fatte sempre per sicurtà o per grandezza sua, parvono spesso fatte o per augrnento de la fede cristiana, o per la difesa della Chiesa»5. Da parte sua il Machiavelli rilevava come il predetto sovrano avesse «sempre fatte e ordite cosa grandi, le quali sempre hanno tenuti sospesi et ammirati li animi de' sudditi, ed occupati nello evento di esse. E sono nate queste sue azioni in modo l'una dall'altra, che non ha mai dato, infra l'una e l'altra, spazio alli uomini di poter quietamente operarli contro.»6

Il Re Cattolico era certamente politico consumato, ma non inferiore gli era la regina, dai due storici citati posta in ombra, per scarsa conoscenza, certamente, delle cose di Castiglia e del ruolo personale di Isabella nella politica dei suoi stati. Soprattutto nella sovrana, religione e politica finivano per formare una cosa sola. Nella realizzazione dell'impresa colombiana, infatti, l'ideale religioso finì per fondersi, abilmente, con quello politico e, naturalmente, con l'interesse economico: la tranquillità dello stato riposava più che mai su imprese che esaltassero lo spirito combattivo e di crociata dei castigliani; la conquista di nuove terre avrebbe dato, poi, frutti, sia nel campo della evangelizzazione che in quello molto più concreto dell'economia.

Sappiamo bene, ora, che al di là di una realtà mitizzata, una ben nutrita schiera di commercianti e di banchieri sosteneva l'impresa di Colombo. Il Boscolo lo ha dimostrato7: famiglie genovesi potenti economicamente, radicate da tempo nell'Andalusia, a Córdoba, a Málaga, a Siviglia, soprattutto, e che contavano a corte, come i Doria, gli Spínola, i Cattaneo, i Centurione, i Pinelli, gli Adorno... Precisamente la potente famiglia Centurione, associata ai Di Negro e agli Spinola, aveva al suo servizio in qualità di operatore economico Cristoforo Colombo, il quale «svolgeva la sua attività operando anche a Lisbona dopo il 1476, e ciò spiega l'appoggio che gli stessi Centurione potevano dargli a Siviglia prima della grande scoperta.»8

Non starò certamente a ripercorrere, qui, la storia dell'impresa colombiana, neppure per tappe essenziali. Ciò che mi interessa è porre in rilievo, ancora una volta9, l'atteggiamento dello scopritore genovese di fronte al mondo americano, da lui mai inteso coscientemente come tale, lo sappiamo bene. Il tema non è nuovo, sicuramente, ma è pur sempre suggestivo e vale a rendere l'atteggiamento dell'europeo verso l'«altro», nel caso specifico di Colombo di fronte al «diverso».

Il Todorov ha trattato l'argomento dettagliatamente, e con entusiasmo, in La conquête de l'Amérique. La question de l'autre10, libro rilevante, che pure ha suscitato motivate riserve. Ad ogni modo, il Todorov ha studiato attentamente la condotta dello scopritore nei confronti dell'indigeno e del mondo con il quale veniva in contatto. Egli appare chiaramente conquistato dalla figura di Colombo, se afferma11, ad esempio, che nella sua impresa egli non era mosso dalla cupidigia e che la ricchezza e l'oro gli servivano solo quale mezzo per rianimare i suoi durante la navigazione, affinché l'impresa riuscisse: «Il suffit de lire ses écrits en entier -scrive- pour se convaincre qu'il n'en est rien. Simplement, Colón connaît la valeur d'appât que peuvent jouer les richesses, et l'or en particulier.»12

È fuor di dubbio: Colombo ha conquistato pienamente lo studioso. Il Todorov ravviva, così, l'immagine mitica del grande navigatore, per il quale accetta anche la simbologia del nome: «Christus Ferens qui veut dire porteur du Christ»13, come del resto aveva consegnato, alle origini, frate Bartolomé de Las Casas, grande ammiratore del genovese, oltre che salvatore benemerito di gran parte del suo Diario de a bordo14.

Che Colombo non rincorresse la ricchezza unicamente, si può ammettere facilmente. Il suo interesse era volto soprattutto alla scoperta, ma, non v'è dubbio, non esclusivamente. L'oro doveva essere anche per lui importante, almeno quale concreta testimonianza della bontà e convenienza della sua impresa presso i sovrani e i suoi finanziatori e sostenitori, al fine di proseguire in essa e di condurla a termine. Ma torneremo sull'argomento.

Per quanti «descubrimientos» o semplici contatti con il mondo americano, di normanni o di vichinghi, si vogliano sostenere precedenti a Colombo15, egli è il primo a lasciare concreta costanza, nel suo Diario, del contatto con l'«altro» americano, uomo e natura. Dal suo testo si coglie la complessa gamma di reazioni di un uomo occidentale europeo, appartenente, cioè, a quello che si riteneva il centro del mondo civile, di fronte all'inaspettato, a un mondo ignoto e senza confini, malgrado la convinzione colombiana di aver raggiunto l'Asia, o regioni oggetto mitico, forse, della geografia fantastica.

Il Diario di Colombo è, inoltre, il primo testo -l'ho affermato più volte- della nascente letteratura latino-americana, il primo in castigliano che tratti dell'America, pur non sospettando che sia un continente nuovo. Con questo non intendo affermare che il Genovese si sia proposto di scrivere opera letteraria, ma tale ha finito per essere il Diario. Il D'Olwer, rifiutando giustamente l'idea di un Colombo «poeta» o «alucinado», «poseso de una idea fija»16, come hanno sostenuto i suoi ammiratori più carenti di senso critico, non ha mancato di segnalare nel testo la meraviglia naturale dell'uomo, e di un uomo di cultura, capace di rendere, sia pure in un giornale di bordo, quindi in uno scritto quanto mai secco e burocratico, le proprie emozioni, le reazioni di fronte al nuovo e al diverso, con abilità ed efficacia di vero scrittore.

Dal Diario colombiano prende avvio l'utopia americana di fondo: quella del mondo meraviglioso e felice, abitato da gente buona, il «buon selvaggio», origine di tante pagine letterarie e filosofiche. L'utopia riemergerà in forma polemica nell'Europa del secolo XVIII quando infunerà la «querelle» tra assertori della degenerazione degli americani -De Pauw, Robertson, Raynaud- e difensori della pari, o anche superiore, dignità e intelligenza di essi17. In quest'ultimo gruppo saranno particolarmente attivi i gesuiti espulsi dalle colonie americane della Spagna per ordine di Carlo III, rifugiatisi nello Stato della Chiesa, tra Emilia e Romagna18, come Rafael Landivar, autore del mirabile poema latino Rusticano Mexicana, e Francisco Javier Clavijero, celebratore, nella Storia antica del Messico, della civiltà azteca19. Tra gli italiani, è noto, posto rilevante hanno l'abate Ferdinando Galiani e l'istriano Gian Rinaldo Carli, entusiasta quest'ultimo, dell'Inca Garcilaso e del mondo peruviano, che propone, nelle Lettere americane20, modello di civiltà.

Il tema del «buon selvaggio», dell'uomo allo stato di natura, per quanto riguarda l'America, è diffuso da Colombo. L'impatto col mondo «nuovo» avviene in un clima di naturale ansia e tensione, cbe tale sarebbe stato anche senza le note insofferenze dell'equipaggio. Colombo segna per sempre il momento dell' «incontro», con sinteticità ineguagliabile: «A las dos oras después de media noche paresció la tierra»21. Al diradarsi delle tenebre notturne prende consistenza il nuovo continente nelle sue isole antillane, l'isola di Guanahani. Forse ricordando questa frase del Diario, Miguel Ángel Asturias forgerà in Maladrón una frase magica: «¡Todo estaba ya lleno de comienzo!»22. Era davvero l'inizio di un evento eccezionale. Il mito del mondo felice sembra affermarsi già nella semplice notazione colombiana. Sorgeva, comunque, dalle brume notturne come una apparizione la nuova terra, affermava la propria esistenza nella luce aurorale: una sorta di miracolosa apparizione.

È il primo incontro con il «diverso», ma anche con una diversa natura, alla cui interpretazione si rivelano subito inadeguati i parametri europei, incapace per la sua descrizione il vocabolario castigliano. Naturalmente, più del complicato e retorico cerimoniale con cui Colombo prende possesso dell'isola in nome dei re di Spagna, interessa il momento e il modo dell'impatto. Ciò che subito colpisce lo scopritore è che gli abitanti vanno nudi come li hanno partoriti le loro madri. Il che dà adito ad analogie ardite: la nudità originale dei progenitori nel Paradiso terrestre, quindi una condizione di grazia e di bontà che si è mantenuta intatta nel tempo, non insidiata dal peccato. Per di più, la meraviglia del passaggio, presto identificato col Paradiso sulla terra. Scrive il Las Casas: «Puestos en tierra vieron árboles muy verdes y aguas muchas y frutas de diversas maneras»23. Un'abbondanza singolare della natura che non abbandonerà più le descrizioni del mondo americano nei successivi cronisti, i quali empiranno pagine dei loro testi di descrizioni meravigliose, senza per questo dimenticare l'impervio e il terrorífico.

Se gente buona abita il Paradiso, sembra aver pensato Colombo, è la bontà il mezzo per intendersi con essa, al fine di ottenere risultati concreti: la sottomissione ai re di Spagna e il profitto. La sua è, quindi, una politica del sorriso, un intenso scambio di doni: «bonetes» rossi, «cuentas de vidrio» e «otras cosas muchas de poco valor»24, cianfrusaglie, insomma, da parte spagnola, alle quali gli indigeni corrispondono, pur nella loro povertà, con generosità ben diversa.

Nell'episodio rimane fissata, fin dalle origini dell'incontro europeoamericano, una sostanziale diversità nella concezione della bontà, che è strumentale da parte europea, naturale e disarmata da parte indigena. L'astuzia, infatti, è la vera arma degli spagnoli di fronte a gente fiduciosa e senza protezione. Lo sfruttamento della bontà americana è la vera finalità cui tendono i nuovi venuti, caratteristica negativa non destinata a mutare nel corso dei secoli, neppure oggi, nei confronti del mondo americano. Immensi saranno i benefici di conquistatori e di colonizzatori, che in cambio non daranno nulla, o quasi nulla. Ciò che essi costruiranno o introdurranno sarà sempre in primo luogo per il proprio vantaggio. Non diversamente si comporteranno le imprese monopolistiche del secolo XX. Lo denuncia tutta la storia dell'America.

Nel Diario di Colombo, quindi, la bontà appare la via più idonea allo sfruttamento. L'indigeno è considerato buono, perciò stesso ingenuo, facilmente sfruttabile, anche se nel caso degli indios di Guanahani la povertà di essi è di limite allo sfruttamento. Scrive l'Ammiraglio: «me pareció que era gente muy pobre de todo»25. La naturale astuzia di Colombo avrà immediata ripetizione in quella di Cortes di fronte a Montezuma: «Yo le respondí a todo lo que me dijo, satisfaciendo a aquello que me pareció que convenía, [...]»26.

L'osservazione dell'Ammiraglio a proposito della povertà degli indigeni indica una trasparente delusione. Egli non trova la ricchezza che aveva sperato, l'oro che tanto aveva enfatizzato ai suoi e che diverrà, occorre dirlo, ricerca ossessiva nel suo contatto con le terre americane, come lo sarà nelle numerose imprese di esplorazione e di conquista successive, esaltate nei loro autori dalla ricchezza del Messico e del Perù. Nella Primer Nueva Coránica y Buen Gobierno denuncerà, tra i secoli XVI e XVII, la smodata e perniciosa sete d'oro degli spagnoli, il peruviano Felipe Guamán Poma de Ayala:

«aún hasta ahora dura igual deseo de oro y plata y se matan los españoles y desuellan a los pobres indios, y por el oro y la plata quedan ya despoblados parte de este reino, los pueblos de los pobres indios, por oro y plata [...]».27



Nella sua prima visione dell'indigeno Colombo insiste sull'equivalenza nudità = innocenza = bontà. Quelli che ha davanti sono giovani che non superano i trent'anni; è gente che non conosce armi micidiali come quelle ispaniche, benché anch'essi abbiano nemici in isole vicine, dai quali sono costretti a difendersi. La visione idilliaca del Paradiso e della felicità dell'uomo allo stato di natura visibilmente si incrina, ma l'Ammiraglio sembra non accorgersene, o almeno, per il momento, non si sofferma sul fatto. Degli indigeni lo impressiona favorevolmente l'aspetto. Egli carica immediatamente le tinte e idealizza. Il passo è arcinoto, ma vale la pena di richiamarlo in quanto prima descrizione dell'uomo americano:

«Ellos andaban todos desnudos como su madre los parió, y también las mujeres, aunque no vide más de una farto moça, y todos los que yo vi eran todos mancebos, que ninguno vide de edad de más de XXX años, muy bien hechos, de muy fermosos cuerpos y muy buenas caras, los cabellos gruesos cuasi como sedas de cola de cavallos e cortos. Los cabellos traen por encima de las cejas, salvo unos pocos detrás que traen largos, que jamás cortan. D'ellos se pintan de prieto, y (d') ellos son de la color de los canarios28, ni negros ni blancos, y d'ellos se pintan de blanco y d'ellos de colorado y d'ellos de lo que fallan; y d'ellos se pintan las caras, y d'ellos todo el cuerpo, y d'ellos solos los ojos, y d'ellos solo el nariz. Ellos no traen armas ni las cognosçen [...]»29.



A distanza di secoli da questo incontro Gabriel García Márquez parodierà, nel romanzo El otoño del Patriarca, l'episodio e la descrizione dell'Ammiraglio, per affermare, con il tempo immemorabile della dittatura, il diritto incontestabile all'esistenza dell'americano, con o senza «descubrimiento»30. Non a torto il filosofo messicano Leopoldo Zea insiste, su questa linea, sul termine «encuentro», che oppone a «descubrimiento»31.

Continuando nella sua descrizione dell'indio, Colombo esprime apprezzamenti positivi, in realtà inquietanti, tra essi la facilità con cui gli indigeni potrebbero essere evangelizzati e istruiti, tanto che si propone di portarne sei alle Loro Altezze «para que deprendan fablar»32. Come si vede, la lingua vera è quella degli spagnoli. Dirà nel romanzo citato di García Márquez colui che porta al matusalemmico dittatore la notizia dell'arrivo di strani personaggi, la spedizione di Colombo: «hasta querían cambiar a uno de nosotros por un jubón de terciopelo para mostrarnos en las Europas, imagínese usted mi general, qué despelote, [...]»33. Oggetto di curiosità, quindi, l'americano, essere pittoresco. L'ironia grottesca del narratore colombiano denuncia, in realtà, la nota tragica dell' «incontro», che già è scontro per diversa mentalità, ma anche per intenzione diversa, che si manifesta presto in violenza, in tentativo di deportazione sotto pretesto di acculturazione, mancanza assoluta, in ogni modo, di rispetto per la persona umana.

La celebrazione dell'indio e del paesaggio da parte di Colombo cela una mentalità che non si apre alla collaborazione e che presto ha come risultato la reazione indigena, la perdita, quindi, per gli spagnoli, della positiva categoria di bontà dell'americano. Il comportamento dell'Ammiraglio denuncia chiaramente la scarsa considerazione che egli ha dell' «altro», che certamente considera essere inferiore al bianco, per quanto bassa la condizione di questo ultimo e infima la sua cultura. Non spiacevoli d'aspetto, ed è una sorpresa, ma poco più che animali dotati di intelligenza e di parola. Una «parola» che Colombo riterrà di comprendere, se stiamo al testo del Diario in data 14 ottobre 1492, pur senza conoscere la lingua:

«Y vino uno [indigeno] viejo en el batel dentro, y otros a bozes grandes llamavan todos, hombres y mugeres: "Venid a ver los hombres que vinieron del cielo, traedles de comer y de bever". Vinieron muchos y muchas mugeres, cada uno con algo, dando gracias a Dios echándose al suelo, y levantavan las manos al cielo, y después a voces nos llamavan que fuésemos a tierra: [...]»34.



Il giorno prima, 13 ottobre, Colombo scopre le sue intenzioni riguardo all'oro, inaugurando così il mito della ricchezza americana, un «Eldorado» che finirà poi per fissare la sua sede geografica nell'America del Sud, dando motivo a numerose imprese, che le cronache tramandano a tinte efficaci: «Y yo estava atento y trabajava de saber si avía oro [...]»35. L'affermato disinteresse dello scopritore per le ricchezze perde, qui, ogni fondamento. Il Todorov ha egli stesso idealizzato eccessivamente il personaggio. Nelle parole dell'Ammiraglio si rivela un'ansia evidente e segue una notazione significativa:

«Y por señas pude entender que, yendo al Sur o bolviendo la isla por el Sur, que estava allí un Rey que tenía grandes vasos d'ello [l'oro] y tenía muy mucho».36



Non è ancora l' «Eldorado», ma poco manca.

Lo stesso giorno 14 ottobre le intenzioni di Colombo si rivelano più chiaramente e l' «incontro» con l' «altro» perde tutta la sua prima nota entusiasmante, se egli afferma che, quando fosse piaciuto alle Loro Altezze, tutti questi indios si sarebbero potuti trasportare in Castiglia, o «tenellos en la misma isla captivos, porque con cincuenta hombres los terná(n) todos sojuzgados, y los hará(n) hazer todo lo que quisiere (n)»37. È la conseguenza della bontà e della mansuetudine. L'incontro europeo-indigeno assume ormai la nota della tragedia.

A distanza di soli due giorni dalla scoperta l'orizzonte si fa fosco per l'americano, per le genti del mondo «nuovo». La schiavitù era, certo, acquisita nell'Europa del tempo e anche in Spagna, quindi non meraviglia l'assoluta mancanza di scrupoli, in questo senso, di Colombo. E tuttavia non si può non notare con raccapriccio come, di fronte al mito dell'evangelizzazione, una realtà ben più dura si imponesse: il futuro dell'America iniziava sotto terribili prospettive. L'indifferenza, la brutalità dell'europeo di fronte alla sorte dell'indigeno contrasta duramente con gli entusiasmanti colori con cui l'Ammiraglio lo aveva presentato.

Dalla schiavitù in Europa -non in America, perché l'istituzione dell'Encomienda sarà, nella maggior parte dei casi, una forma di schiavitù- l'uomo americano è salvo solo per la sua comprovata debolezza fisica. Michele da Cuneo, al quale nel secondo viaggio Colombo regalerà graziosamente una «camballa», con la quale, vedendola nuda, preso da capriccio, e passando alla maniera forte per la sua resistenza, il nobiluomo potè «solaciar cum lei» con sua piena soddisfazione38, spiegherà nella relazione all'amico savonese Gerolamo Annari39, con lo «spericolato cinismo» denunciato dal Firpo40, come delle «anime 500» scelte da un concentramento di 1.600 e caricate il 17 febbraio 1495 su navi dirette in Spagna, duecento morirono, «credo per lo insolito aere più fredo cbe il loro [...], li quali gettassimo nel mare»41. Gli altri indigeni furono scaricati a Cadice mezzo ammalati. Di qui l'avvertimento all'amico: «Per vostro avviso, non sono omini de fatica, e temono molto il fredo, né etiam hanno longa vita»42. Merce di scarto, insomma.

Il passo non ha bisogno di ulteriore commento. Il mondo felice prospettato da Colombo alle origini del suo incontro con l'America è ormai un mondo di dolore. La ricerca dell'oro, la violenza, la deportazione e la schiavitù fanno presto degli europei dei ben curiosi uomini «venuti dal cielo», come fin dal primo contatto con gli indigeni l'Ammiraglio sostiene che questi li ritennero. Il cliché verrà ripreso da Cortés e da altri conquistatori. Occorre dire, ad ogni modo, che ciò che oggi colpisce così profondamente la nostra sensibilità era ben lungi dall'avere il medesimo effetto ai tempi della scoperta dell'America. Colombo non differiva, per mentalità e per comportamento, dai suoi contemporanei.

Ciò che dell'Ammiraglio è da apprezzare, nel contatto con il mondo americano, è l'esaltato, ed esaltante, entusiasmo con cui lo osserva e lo interpreta. Egli è profondamente preso dalla novità della natura: un mondo privo di animali di grandi proporzioni, ai quali l'occhio dell'europeo è abituato, ma ricco di varietà sconosciute di flora e di fauna minore. È per questa abbondanza della natura e per la sua meravigliosa varietà che torna insistente in Colombo l'immagine del Paradiso terrestre. Lo stesso giorno 14 ottobre 1492 il navigatore genovese nota la presenza di «güertas de árboles», che dichiara «las más hermosas que yo vi, e tan verdes y con sus hojas como las de Castilla en el mes de Abril y de Mayo, y mucha agua»43. Ma la meraviglia si fa più grande davanti allo spettacolo di isole infinite. Il paesaggio americano è regno del meraviglioso. L'interesse per l'oro persiste tirannicamente, ma Colombo è soggiogato dalla novità e dalla bellezza della natura.

Alla Fernandina, dove per la seconda volta l'Ammiraglio vede il tabacco -lo reca un tale che compie in barca il tragitto tra l'isola menzionata e quella di San Salvador; si tratta di «unas hojas secas, que deben ser cosa muy apreciada entr'ellos [gli indigeni], porque ya me truxeron en San Salvador dellas en presente.»44-, si ripetono, il 16 ottobre, le consuete scene di scambi di doni e di sorrisi. La gente continua a essere buona; Colombo è colpito dal fatto che le donne si coprano, malamente, la «natura» con «una cosita de algodón»45; il paesaggio è sempre entusiasmante, diverso da quello cui Colombo era abituato in Europa, e tenta di darne, con efficace riuscita, un'idea:

«Ella es la isla muy verde y muy llana y fertilísima, y no pongo duda de que todo el año siembran panizo y cogen, y así todas otras cosas. Y vide muchos árboles muy disformes de los nuestros, d'ellos muchos que tenían los ramos de muchas maneras y todo en un pie, y un ramito es de una manera y otro de otra; y tan disforme, que es la mayor maravilla del mundo cuánta es la diversidad de la una manera a la otra. Verbigracia: un ramo tenía las fojas de manera de cañas y otro de manera de lentisco y así en un solo árbol de cinco o seis d'estas maneras, y todos tan diversos; ni estos son enxeridos porque se pueda dezir quel enxerto lo haze, antes son por los montes, ni cura d'ellos esta gente. [...] Aquí son los peces tan disformes de los nuestros, qu'es maravilla. Ay algunos hechos como gallos, de las más finas colores del mundo, azules, amarillos, colorados y de todas colores, y otros pintados de mill maneras, y las colores son tan finas, que no hay hombre que no se maraville y no tome gran descanso en verlos; también hay vallenas. Bestias en tierra no vide ninguna de ninguna manera salvo papagayos y lagartos. Un moço me dixo que vido una grande culebra. Ovejas ni cabras ni otra ninguna bestia vide, aunque yo he estado aquí muy poco, que es medio día; mas si las oviese, no pudiera errar de ver alguna»46.



Con ogni probabilità i «lagartos» erano i caimani e la «grande culebra», secondo annota il Las Casas, «Iguana debió ser ésta»47 .

Prolisso e inutile esercizio sarebbe riprodurre i molti passi in cui Colombo manifesta il suo entusiasmo per la natura antillana. Sotto il ripetuto stupore di fronte alla fauna e soprattutto alla flora -ancora in data 21 ottobre l'Ammiraglio denuncia la sua entusiastica meraviglia davanti al verde di alberi ed erbe, come d'aprile in Andalusia, e per il canto singolarmente dolce dei «paxaritos», sì che «parece qu'el honbre nunca se querría partir de aquí, y las manadas de los papagayos que oscureçen el sol, y aves y paxaritos de tantas maneras y tan diversas de la nuestra que es maravilla [...]»48- sta in Colombo la coscienza di un limite espressivo destinato a inquietare per lungo tempo gli spagnoli nei confronti del mondo americano. Lo dichiara palesemente, alle origini, lo stesso Ammiraglio:

«Y después ha árboles de mill maneras y todos <dan> de su manera fruto, y todos güelen qu'es maravilla, que yo estoy el más penado del mundo de no los cognoscer, porque soy bien cierto que todos son cosas de valía y d'ellos traigo la muestra, y asimismo de las yervas»49.



Immediatamente dopo questo passo Colombo consegna di aver visto una «sierpe», che uccide e che porterà ai sovrani, segno che non si tratta di una «sierpe» a lui nota. Commenta il padre Las Casas che anche questa dovette essere una «iguana»50 e la Varela chiarisce che «Llamar sierpe a las iguanas es lugar común a los primeros cronistas»51 .

Come termine di riferimento l'Ammiraglio si volge a ciò che conosce, a quanto ha visto nelle regioni a lui note, come l'Andalusia, la Castiglia, ma anche la Guinea, dove pure era stato. Il 28 ottobre, sulle coste di Cuba trova una quantità di palme e Colombo specifica che sono «de otra manera que las de Guinea y de las nuestras, de una estatura mediana y los pies sin aquella camisa y las hojas muy grandes, con las cuales cobijan las casa, [...]»52 . II 29 ottobre, parafrasa Las Casas, in cerca della città dove, a suo intendere, gli indigeni gli dicevano risiedeva il re dell'isola, l'Ammiraglio afferma di aver trovato «vacas» e «otros ganados, porque vido cabeças de güesso que le parecieron de vaca»53. A margine il frate scrive: «debía de ser manatí»54, mammifero che nulla ha a che vedere con la «vaca».

Il problema è, chiaramente, di intendersi tra spagnoli e indigeni. Lo avverte bene il Las Casas, il quale, glossando il Diario colombiano in data 1 settembre, là dove lo scopritore afferma che gli indios chiamavano l'oro «macay», nota:

«Yo creo que los cristianos no entendían, porque como todas estas islas hablasen una lengua, la d'esta isla Española, donde llaman al oro caona, no debían de decir los indios por el oro macay»55.



La difficoltà, quindi, è grande, malgrado Colombo sì fosse affrettato a provvedersi di interpreti indigeni, grazie ai quab, nota la Varela56, si rende conto dell'unità linguistica delle Antille.

Sul piano del fantastico l'Ammiraglio non si stupisce di nulla. Accetta tutto senza scomporsi. Il mondo «nuovo», con la sua realtà inusitata, rende legittimo anche il gioco della fantasia. Su questo piano, uomo chiaramente medievale, Colombo non si stupisce che gli indigeni gli segnalino l'esistenza di uomini mostruosi, alcuni con un solo occhio, altri con muso di cane, «que comían los hombres y que en tomando uno lo degollavan y le bebían la sangre y le cortavan su natura»57. La mente medievale era ancora piena di queste raffigurazioni orripilanti e la dimensione dell'inconsueto e dell'ignoto ne favoriva il risorgere.

È questa la prima menzione dei cannibali. Siamo al 3 novembre, ma il 26, nell'isola di Bohío, come intende Colombo, e che per il Las Casas è l'Española, gli indigeni si mostrano all'Ammiraglio terrorizzati per gli abitanti di «Caniba o Camina», esseri ferocissimi, che «no tenían sino un ojo y la cara de perro»58; benché Colombo creda che gli indigeni mentano. Finalmente, il 26 dicembre i cannibali prendono corpo: sono i «caribes», indios indomiti, che in seguito le Leyes de Indias permetteranno per molto tempo siano resi schiavi, uomini e donne, per la lotta accanita da essi mossa agli spagnoli.

Ancora in data 13 gennaio, nel Diario colombiano sono menzionati «los de Carib», dei quali, scrive l'Ammiraglio, si diceva «que comiesen hombres»59. Il mito, come si vede, si consolida. Scriverà più tardi lo stesso Colombo nella Carta a Luis Santángel, in data 15 febbraio 1493, di non aver trovato mostri nel suo viaggio, né di essi notizia, «salvo de una isla que es Carib, la segunda a la entrada de las Indias, que es problada de iente que tienen en todas las islas por muy ferozes, los cuales comen carne umana»60 .

Nella lettera citata viene, inoltre, ripreso un altro particolare favoloso, già presente nel Diario: quello dell'isola delle donne, Matinino. Infatti, in data 15 gennaio Colombo faceva riferimento a quest'isola. Nella Carta a Santángel il riferimento si arricchisce di nuovi particolari: Colombo afferma che sono proprio i «Caribes» che «tratan con mugeres de Matinino» e che queste «no usan exercicio femenil, salvo arcos y flechas, como los sobredichos de caxas, y se arman y cobijan con lames de arambre, de que tienen mucho»61.

Con questa insistenza sui cannibali Colombo pone le basi di tutta una successiva demonizzazione del mondo americano -pensiamo a Gonzalo Fernández de Oviedo, ma non solo a lui62-, mentre con il tema delle donne guerriere apre la via al rinverdimento del mito delle Amazzoni, molto prima che Francisco de Orellana, scendendo il grande fiume brasiliano, affermasse di averle viste cavalcare lungo le sue rive: donne fierissime, appartenenti a una repubblica che non ammetteva uomini entro i suoi confini.

I miti del passato rivivono, in Cristoforo Colombo, al cospetto della novità del mondo americano e nell'alone inquietante del confine sconosciuto; essi saranno la fonte prima di molti miti che si affermeranno in seguito in America e che daranno luogo a imprese numerose, con le quali si estenderà la conoscenza geografica del mondo «nuovo».

Il Memorial che l'Ammiraglio affida ad Antonio de Torres il 30 gennaio 1494, nella città di Isabella, destinato ai sovrani «sobre el suceso de su segundo viaje a las Indias» -e che ricevuto dalle Loro Maestà verrà chiosato paragrafo per paragrafo-, non offre dati nuovi, come neppure, nella sostanza, l'estratto realizzato dal Las Casas, da un originale, oggi perduto, relativo al terzo viaggio, una lettera scritta dopo che Colombo era giunto all'Española, il 31 agosto 1498, e inviata ai sovrani il 18 ottobre dello stesso anno63. Gli indigeni sono, anche qui, descritti come di bell'aspetto, buoni in genere, ma non di rado anche ostili. La visione idilliaca del primo incontro è decisamente cambiata. La difficoltà di intendersi si accentua. Mentre si rafforza in Colombo la convinzione di aver trovato nella Tierra de Gracia il Paradiso terrestre. E un altro dei passi più citati, uno dei più suggestivi dei testi colombiani:

«Torno a mi propósito de la Tierra de Gracia y río y lago que allí fallé, atán grande, que más se le puede llamar mar que lago, porqu'el lago es lugar de agua, y en seyendo grande, se dize mar, como se dixo a la mar de Galilea y al mar Muerto. Y digo que, si no procede del Paraíso Terrenal, que viene este río y procede de tierra infinita, pues<ta> al Austro, de la cual fasta agora no se a avido noticia. Mas yo muy assentado tengo el ánima que allí, donde dixe, es el Paraíso Terrenal, y descanso sobre las razones y auctoridades sobre escriptas».64



Quanto alla Relación del cuarto viaje, datata dalla Giamaica il 7 luglio 1503, essa è il racconto amarissimo della sventurata impresa ai «Serenísimos y muy altos y poderosos Príncipes Rey e Reina»65. La tempesta accompagna costantemente Colombo, quasi significativo presagio di fallimento. All'Española non gli danno aiuto. Colombo è un uomo finito. La chiusa della relazione è un amaro rievocare le molte offese ricevute e un insistito protestare la propria lealtà ai sovrani, ai quali chiede angosciosamente la «restitución» del suo onore e il castigo dei malvagi, cosa che, se i re faranno, darà loro meritata fama di principi giusti.

In questo scritto sono molte le note umane, amare e deluse, proprie di chi tanto potè e ora si vede impotente, perseguitato dalla sfortuna, dall'invidia e dalla malvagità degli uomini. Tra questi persecutori sta anche re Ferdinando, il quale, come scrive nella vita del padre Hernando Colón, l'Ammiraglio aveva sempre trovato «algo seco y contrario a sus negocios»66 , cosa che apparve chiara nell'accoglienza che gli fece al suo ritorno, «pues aunque en la apariencia le recibió bien, tenía voluntad de quitárselo totalmente, si no lo hubiese impedido la vergüenza, que, según hemos dicho, tiene gran fuerza en los ánimos nobles»67.

La considerazione finale non attenua la durezza dell'accusa, del resto corroborata dagli annosi «Pleitos colombinos»68, che ebbero in Hernando un instancabile difensore dei diritti del padre e dei suoi eredi contro i tentativi della corona per cancellarli.

Contrastante figura quella di Colombo; atteggiamento contradditorio il suo di fronte al mondo «nuovo» e alla sua gente. A lui si deve, comunque, oltre all'individuazione di questo mondo, il fissarsi nel tempo di un'esaltante visione dell'America. Non a torto la Varela scrive che il navigatore genovese scoprendo un nuovo mondo non ne accetta la realtà così com'è, ma «la acomoda a unos conocimientos previos y a un criterio propio, desde el que procede a su interpretación»69. Ma la veridicità della visione dell'Ammiraglio non è, per noi, rilevante. Molte sono le note fantastiche, profuse senza dubbio in piena buona fede, ma sono molte anche le verità. Ciò che permane è l'alone magico, che dalla visione colombiana si irradia sull'immagine dell'America, la serie dei miti positivi cui dà vita. L'incontro tra due mondi diversi non ha luogo come scontro, e ciò nonostante le «esemplari» vendette dell' Ammiraglio, castighi memorabili70. L'afférmazione aperta di Colombo della disponibilità dell' «altro», viene tuttavia sfruttata negativamente. La visione idilliaca del primo incontro con le terre d'America contrasta presto con la dura realtà dello sfruttamento, ma nella coscienza europea ciò non riuscirà a distruggere l'immagine solare del «mondo nuovo». Come neppure si cancellerà, nella coscienza dei più, l'impressione che l'evento straordinario si debba a disegni superiori e che Colombo ne sia stato lo strumento predestinato.

Le pagine colombiane trasudano frequentemente un senso religioso che si impone anche al lettore odierno, al disopra di ciò che caratterizzò la realtà del comportamento dell'Ammiraglio e dei suoi collaboratori e successori. Permeato profondamente di letture bibliche, ad ogni istante Colombo crede, e afferma, di vedere segni di Dio che qualificano come predestinata la sua impresa. Non tanto si tratta di scoprire mondi nuovi -sembra convinto- quanto di risalire all'indietro il tempo umano per attingere quello divino. Scrive il Las Casas:

«cuanto a sospechar que podía ser que el Paraíso terrenal existiera en parte de aquella región, tampoco el Almirante opinaba fuera de razón, supuestas las novedades y mudanzas que se le ofrecían, mayormente la templanza y suavidad de los aires y la frescura, verdura y lindeza de las arboledas, la disposición graciosa y alegre de las tierras, que cada pedazo y parte parece un paraíso; la muchedumbre y grandeza impetuosa de tanta agua dulce, cosa tan nueva; la mansedumbre y bondad, simplicidad, liberalidad, humana y afable conversación, blancura y compostura de la gente».71



Anche per il Las Casas nel Paradiso, concepito da esseri di pelle chiara, non poteva esservi che gente di pelle bianca, o che al bianco si avvicinasse. Per questo, idealizzatori del mondo americano, che intendono riscattare alla cristianità, Colombo e il frate sottolineano quanto più possibile il particolare del colore della pelle, che equivale a dire di non aver trovato in America gente di pelle nera, inequivocabile segno dei «figli del demonio».

Eletto da Dio farà il Las Casas Colombo, e lo dichiarerà «nuevo inventor de este orbe»72. Il mondo americano esisteva, ma il Genovese lo immette nella vita dell'universo. La sua avventura non è «un mero -aunque destacado- episodio en el largo proceso de exploración del Atlántico», come qualcuno ha preteso73, ma uno straordinario evento dovuto a una volontà incrollabile, a un temerario ardimento. Con la nota intelligenza l'Oviedo riconosceva, nel Sumario de la Natural Historia de las Indias, che «descubridor, hablando verdad, ninguno se puede decir, sino el almirante primero de las Indias don Cristóbal Colón»74. I primi concetti che egli stabilì nel suo contatto col mondo americano e con l'indigeno erario destinati a dissolversi mano a mano che la conoscenza di quello stesso mondo si approfondiva, ma il suo impegno di conoscenza rimane per sempre valido.





 
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