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Un esemplare annotato della «Celestina» e la traduzione inglese di Mabbe

Patrizia Botta






I

Nel 1631 usciva alle stampe in Inghilterra la traduzione inglese, ad opera di James Mabbe1, della Celestina (=LC) di Fernando de Rojas, intitolata The Spanish Bawd represented in Celestina, or The Tragicke-Comedy of Calisto and Melibea2. Non era questa la prima traduzione del testo in Inghilterra3 né l'unica dello stesso Mabbe: questi infatti, alcuni decenni prima (ca. 1598), aveva redatto una versione manoscritta ridotta, a noi pervenuta in un Ms. esemplato fra il 1603 e il 1611, attualmente conservato nel Castello di Alnwick (Ms. 510) e scoperto solo recentemente da Guadalupe Martínez Lacalle4.

La traduzione a stampa del 1631, che all'epoca non ebbe un gran successo, ha avuto tuttavia ampio credito nei secoli successivi: più volte infatti se ne è ripubblicato il testo (dall'edizione ottocentesca di Fitzmaurice-Kelly a quella di Allen, fino alla recentissima di Dorothy Severin5) e più volte ne sono state messe in risalto le qualità e le peculiarità6.

Fra queste spicca, secondo gli specialisti, la tendenza a paganizzare il testo e a espurgarlo sistematicamente di espressioni religiose o licenziose poco consone alla mentalità inglese coeva7; inoltre, qualche taglio, qualche aggiunta, talune interpretazioni molto libere, infine, un cospicuo nucleo di 'fraintendimenti' del traduttore, riscontrati dagli studiosi rispetto al testo delle edizioni spagnole più canoniche con le quali essa è stata fino ad ora collazionata: concretamente quella di M. Criado de Val8, basata su L (=Sevilla 1502, ma ca. 1518-209) e quella di D. S. Severin10, basata su P11 (=Valencia 1514)12. Ancora, fra le caratteristiche, si segnalava la presenza di qualche dato aggiuntivo, come il nome di Celestina nel titolo13 e il «Reparto» o elenco complessivo delle dramatis personae anteposto all'Argumento General14.

Circa i materiali sussidiari utilizzati da Mabbe, da più parti si era convenuto che egli si fosse avvalso di una qualche preesistente traduzione del testo: sicuramente quella italia na dell'Hordognez15 (Roma 1506), come risulta da molte coincidenze non banali16, forse anche quella francese di Lavardin17 (Parigi 1578), entrambe più volte ristampate e largamente diffuse nell'Europa del '500.

Quanto al testo castigliano su cui si era basato il traduttore, poche sono state fino a qui le ipotesi: quella dell'edizione di Madrid 1619, proposta da Allen e confutata da Guardia Massò, e quella della Plantiniana del 1595, additata da Martínez Lacalle e accettata in seguito da altri studiosi18.

Tuttavia nessuna di queste due ipotesi è stata formulata con l'avallo di una collazione, né chi ha abbracciato le opinioni precedenti si è preoccupato di verificarne la fondatezza. Quanto poi alle motivazioni, entrambe si basavano su esemplari conservati che presentavano caratteristiche di due tipi: in un caso, l'appartenenza al fondo di Pascual de Gayangos19 attualmente alla Biblioteca Nacional di Madrid (=BNM)20, e dunque la procedenza dall'Inghilterra, nell'altro le annotazioni manoscritte in inglese antico su una copia ancora oggi a Londra, e quindi la permanenza in Gran Bretagna di un esemplare per di più annotato. Anche in questo senso entrambe le segnalazioni finiscono col risultare un po' casuali, dal momento che il fondo Gayangos attualmente alla BNM vanta un buon numero di edizioni antiche de LC (tra le quali non si giustifica la scelta della sola Madrid 1619)21, e d'altro canto gli esemplari annotati de LC, anche in lingua inglese, abbondano in tutte le biblioteche sparse per il mondo22 (e quindi risulta troppo esclusiva la scelta del solo esemplare londinese supposto annotato da Mabbe, senza peraltro chiarire le connesse questioni paleografiche, né dimostrare massicce coincidenze testuali tra le annotazioni e la traduzione dell'oxoniense).

Esiste per contro un altro esemplare, finora sconosciuto agli studiosi, che riunisce tutti i requisiti segnalati: appartiene al fondo Gayangos attualmente alla BNM, reca numerosissime annotazioni manoscritte in inglese antico, che coincidono quasi puntualmente con il testo della traduzione a stampa del 1631 e la cui grafia è vicina a certi autografi di Mabbe, infine è anch'esso un'edizione Plantiniana, ma questa volta del 1599.

Si tratta di un esemplare da me scoperto a Madrid un po' per caso23: la scheda infatti non risulta all'altezza del 1599 sotto la voce Rojas, Celestina. Tragicomedia de Calisto y Melibea, ma alla fine delle edizioni secentesche del testo possedute dalla BNM, e senza indicazioni tipografiche. La segnatura riportata sia in schedario sia sull'esemplare è R/13.410. Esso mi ha subito colpito per l'enorme quantità di annotazioni tardocinquecentesche in lingua inglese, relative tutte alla traduzione del corrispondente testo spagnolo a centro pagina, scritte uniformemente in un inchiostro marrone un po' sbiadito, tanto fitte da occupare a volte tutti i margini del foglio, fino a coprire zone rimaste interne a seguito della legatura, che a colpo d'occhio mi è parsa posteriore alle annotazioni. L'immediato sospetto che si trattasse di un autografo del Mabbe ha dato l'avvio alle ricerche e verifiche qui esposte.



Le edizioni de LC stampate nei Paesi Bassi dalla Officina Plantiniana24 tra la fine del sec. XVI e l'inizio del XVII e a noi pervenute sono in tutto due, quella del 159525 e quella del 159926 (le altre edizioni del 1585, 1590 e 1601 citate dalla tradizione bibliografica non ci sono state conservate27). Il testo che stampano questi due testimoni, strettamente imparentati fra loro per errori e lacune comuni28, raccoglie molte delle modifiche e innovazioni testuali che si erano venute man mano accumulando nel corso della ricca tradizione editoriale cinquecentesca de LC. Così, ereditano dalla precedente tradizione dei Paesi Bassi29 molte lezioni di Anversa 1568, stampata da Phihppo Nucio30, mentre dalla Spagna accolgono varianti di Salamanca 157031 e Barcelona 156132, e infine dall'Italia quelle di Venezia 155333. Quanto al ceppo dei testimoni primitivi, esse discendono dal gruppo KLM (e non da BCD-Z / PUV-HIJ), ma non direttamente34; comunque non da M (per lacune in questa non sanabili per congettura e assenti nelle Plantiniane35) e forse nemmeno da L (per sue lezioni caratteristiche non accolte36).

La Plantiniana del 1599 è stata solo di rado oggetto d'attenzione da parte di lettori e di editori: modernamente è stata accolta in apparato nell 'edizione condotta da Fritz Holle37, mentre in passato è stata collazionata con l'ed. Salamanca 1543 da un fruitore dell'esemplare di questa conservato a Ripoll, un certo Ayala, che per ordine del Sant'Uffizio il 25 maggio 1708, a Salamanca, correggeva ed espurgava il testo riportando al margine le varianti di D (=Sevilla 1501) e della Plantiniana 1599, appunto, giudicata «en todo semejante» all'esemplare di Salamanca 1543 che aveva sotto mano. Non solo: andando più indietro nel tempo, essa è forse servita di base a Gaspar vón Barth, che per la sua traduzione latina del testo (poi pubblicata nel 1624) dichiarava di aver lavorato su una «Plantiniana» stampata dai suoi «amici di Leida». Ed è con ogni probabilità, come vedremo, la base su cui ha lavorato anche Mabbe per la sua traduzione inglese del 1631.

Quanto al luogo di stampa, non indicato, gli specialisti sono concordi nell'aggiudicare l'edizione all'officina tipografica di Leida (non di Anversa), tenuta dai successori di Cristoph Plantin, per via tanto delle dichiarazioni di Barth appena citate come della marca tipografica in calce al Frontespizio (cfr. Tav. 1) che differisce da quella usata da Cristoph nella sua officina di Anversa38. L'edizione, dal caratteristico formato in-8º stretto e lungo e carente per lo più di illustrazioni39, non costituisce una ristampa fedele della Plantiniana 1595 da cui pur deriva il testo: infatti nel ridurre ulteriormente il formato (da 14,6 x 9,3 a 12,7 x 7,4 cm.), ricompone tipograficamente quasi ogni pagina, e differisce oltre che in lunghezza (311 pp. contro le 352 di quella) anche per qualche altro piccolo ritocco, come ad esempio la distribuzione dei titoli correnti o testatine, e qualche divergenza testuale (errate tipografiche, e non solo). Ancora, tra le caratteristiche materiali, gli studiosi hanno riscontrato varianti di lieve entità fra gli esemplari pervenuti che, assieme ad altre dichiarazioni di Barth circa copie corrette e non corrette, lasciano pensare a una duplice tiratura dell'edizione, la seconda a correzione della prima, comunque vendute entrambe presso il pubblico40.



TAV. 1

Portada_Celestina

a) Alcalá 1569

Portada_Celestina_1

b) Plantiniana 1595 (Vienna, Öst. Nat. Bibl., BK 76-1-3)

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